Vista la risonanza avuta dalla presentazione dei dati INVALSI per la scuola l’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia è andato a intervistare il Responsabile dell’Area Prove INVALSI, Roberto Ricci, per recuperare direttamente da lui la giusta chiave di interpretazione nella lettura dei dati.
Dr. Ricci, la ringraziamo per la sua disponibilità. La presentazione dei risultati INVALSI riferiti al periodo della pandemia ha creato molto scalpore nel mondo della scuola. Una tale reazione era prevedibile? Qual è la sua opinione in merito?
Una reazione così forte era sinceramente prevedibile. Purtroppo gli esiti delle prove INVALSI 2021 sono molto preoccupanti e devono portare a una riflessione seria, pacata e propositiva. I dati presentati il 14 luglio 2021 fotografano problemi che vengono da molto lontano e sono molto profondi. È del tutto inappropriato attribuire i risultati presentati alla DaD, non è corretto e non ci permette di capire bene cosa si può fare, anzi, cos’è necessario fare.
Ci aiuti a comprendere al meglio la portata di questi dati. Come concretamente ogni singola scuola potrà utilizzarli per agire in maniera efficace nel quotidiano?
I risultati delle prove INVALSI 2021 sono fonte di grande preoccupazione e devono richiamare l’attenzione di tutta la società, nessuno escluso. Sono troppo alte le quote di allievi che al termine delle scuole medie e delle superiori non raggiungono nemmeno lontanamente i traguardi attesi.
A partire da settembre le scuole avranno i loro risultati, classe per classe, alunno per alunno. Tali esiti potranno essere usati per capire dove si presentano le maggiori debolezze e da dove partire da subito. I risultati delle prove INVALSI possono essere un utile trampolino per focalizzare i traguardi di apprendimento non raggiunti e concentrare l’azione didattica su di essi.
Segmentando i vari cicli scolastici, sembra che la scuola primaria sia quella che abbia maggiormente retto all’impatto della pandemia. Cosa ci dicono i dati in tal senso? Emergono comunque delle criticità?
Gli esiti della scuola primaria sono sostanzialmente in linea con quelli precedenti alla pandemia. E questa è un’ottima notizia. Non dobbiamo però dimenticare che questo significa anche che i problemi che si riscontravano nel 2019 rimangono sostanzialmente invariati. Ancora troppo forte la differenza dei risultati tra scuole, soprattutto al Mezzogiorno. Quando gli allievi sono così piccoli è ancora più necessario garantire a tutti e a ciascuno buoni risultati nelle discipline di base. Buone competenze in questi ambiti rappresentano la prima e più solida premessa per realizzare concretamente e fattivamente l’inclusione di tutti.
Nel primo ciclo della scuola secondaria, cominciano ad emergere i primi problemi. Quali sono le principali difficoltà evidenziate dai dati?
La scuola secondaria di primo grado è il segmento nel quale si cominciano a osservare i problemi più rilevanti, ma non dobbiamo dimenticare che essi vengono da lontano, semplicemente nella secondaria di primo grado divengono visibili.
Preoccupanti sono le percentuali così alte e in aumento degli studenti che non raggiungono i traguardi previsti. Parliamo del 39% degli allievi in Italiano e del 45% in Matematica. Si tratta di una vera emergenza poiché questi allievi si trovano in condizioni di forte rischio di insuccesso scolastico o di abbandono.
L’ultimo grado della scuola secondaria è quello che presenta il quadro più fortemente critico. La situazione è davvero così tragica? Si può cercare qualche appiglio per alimentare comunque una speranza per il futuro?
La situazione è sinceramente molto seria e preoccupante, ma bisogna sempre cercare un punto dal quale partire per invertire la tendenza. Nelle Indicazioni nazionali troviamo già delle piste e dei percorsi da seguire. È necessario puntare all’essenzializzazione dei contenuti, privilegiando le competenze fondamentali. Possiamo vedere la DaD anche come una risorsa che potrebbe favorire le azioni di recupero e di sostegno, anche verso gli studenti con risultati più elevati. Anche di questi ultimi è importante farsi carico. È fondamentale aiutare chi è in difficoltà, ma anche coltivare, promuovere e sostenere i livelli di competenza più elevati.
Particolarmente significativi risultano i problemi della dispersione scolastica implicita e del ritardo del Mezzogiorno sui diversi fronti. Dai dati si possono trarre indicazioni per delle linee di intervento maggiormente incisive?
La dispersione scolastica implicita è un problema nel problema. Essa identifica allievi particolarmente fragili e che se non avessimo i dati INVALSI sfuggirebbero completamente alle analisi ufficiali, quanto meno nella loro quantificazione. Il problema non può più essere trascurato. La dispersione scolastica implicita richiede a tutti e a ciascuno di porre più attenzione alle competenze veramente acquisite e non al valore formale dei titoli di studio.
Secondo lei, quindi, quali sono le leve su cui deve puntare la scuola per una reale ripartenza?
Provo a elencarne alcune. Formazione del personale, politiche basate anche sui dati e sulla costante verifica degli effetti concreti delle azioni intraprese. Ma credo che la cosa più importante sia che tutta la società, non solo la politica, si prenda cura della scuola. I messaggi devono essere coerenti. È necessario che l’intera collettività dia importanza alla scuola, chiedendo risultati, ma garantendo supporto e sostegno. Certamente il tema delle risorse è importante e ineludibile, ma serve anche un ripensamento delle metodologie di insegnamento, adatte a una scuola per tutti e di tutti. In gioco c’è il futuro dell’intera collettività nazionale, non solo quello dei giovani.
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