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Lo scienziato (Cingolani), l’esperto di conti pubblici (Franco), il top manager (Colao) e l’economista (Giovannini). Ecco chi sono i quattro ministri tecnici di Draghi per blindare il Recovery e rilanciare il Paese

Un team di super tecnici per gestire le partite chiave e i fondi del Recovery plan e poi molta politica, che arriva sia dal governo Conte bis (sono 9 i ministri confermati) che dal Conte uno (i tre leghisti).

E’ questo lo schema che emerge dal governo presentato da Mario Draghi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Intanto Draghi ha messo all’Economia un esponente della scuola di Bankitalia, Daniele FRANCO, già Ragioniere generale dello Stato. Poi anche due ministeri chiave per la gestione del Recovery plan sono in “quota Draghi”.

Alla Transizione ecologica va Roberto Cingolani, fisico e Chief Technology and Innovation Officer di Leonardo, che acquisirà anche le competenze sull’energia.

Alla transizione tecnologica c’è Vittorio Colao, supermanager che Giuseppe Conte aveva chiamato a guidare la task force per il rilancio del Paese, salvo poi sostanzialmente accantonare il lavoro fatto.

Da notare, peraltro, che tra i Ministeri è sparito quello per gli Affari europei, ricoperto nel Conte bis dal Dem Enzo Amendola.

Probabilmente ci sarà un sottosegretario con quella delega, ma è del tutto evidente che a guidare la politica europea sarà in prima persona l’ex presidente della Bce. 

Cingolani, lo scienziato decisivo per la svolta green

Fisico milanese di levatura internazionale, genovese di adozione, studi di perfezionamento alla Normale di Pisa ed esperienze in Germania al Max Planck Institut, in Giappone e negli Usa oltre che alla guida dell’Istituto Italiano di Tecnologia: con Roberto CINGOLANI, 59 anni, arriva un vero e proprio scienziato – esperto di robot e nanotecnologie – sulla plancia del nuovo superministero dell’Ambiente e della Transizione ecologica, un dicastero che assorbe anche le competenze energetiche ora al Mise. Avrà anche il compito di presiedere il comitato interministeriale per il coordinamento della transizione ecologica. Sarà in pratica l’uomo decisivo per l’utilizzo delle risorse ‘green’ previste dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto Recovery Fund. CINGOLANI sale alla ribalta nazionale proprio quando nel 2005 diventa il primo direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, il centro di ricerca sulle alture di Genova fortemente voluto dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dal direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, che ne è presidente. L’idea era dare impulso allo sviluppo tecnologico del Paese con un istituto del tutto nuovo e dalla ‘governance’ plasmata sulle migliori esperienze internazionali. Per farlo la ‘creatura’ viene dotata di ingenti mezzi finanziari, generando non pochi malumori nel resto del mondo della ricerca nazionale come Cnr e università. CINGOLANI lo plasma come una sorta di amministratore delegato, ne è anzi l’anima: quando lo lascia nel 2019 l’istituto ha 11 centri di ricerca e oltre 1.700 scienziati provenienti da 60 paesi, un migliaio di brevetti, 24 startup già create e altre decine in cantiere.

Giovane, visionario, CINGOLANI risponde alle polemiche con un entusiasmo vulcanico per la tecnologia, e un vero e proprio talento da divulgatore. Una star mondiale nelle scienze dei materiali, è nanotecnologo – non poche le iniziative a Genova sul grafene – dà impulso al progetto per l’umanoide iCub, il robot simbolo dell’Iit. Mostra doti manageriali anche quando lascia il segno nel progetto per una cittadella di Scienze della vita di Milano, lo Human Technopol. Nel 2019 diventa il capo dell’Innovazione in Leonardo (chief Technology and Innovation Officer), il gruppo aerospaziale a controllo pubblico. Tra le prime iniziative, portare in Italia, e proprio a Genova, uno dei supercomputer più potenti esistenti, per far entrare il Paese “nel club del supercalcolo mondiale” con almeno l’1% della potenza. Senza dimenticare che la nuova sfida, spiega proprio presentando il progetto, che la tecnologia sostenibile è la nuova sfida dell’innovazione: “non e’ pensabile fare cose nuove e scaricarne il peso sui nostri nipoti”. “La sostenibilità deve diventare un parametro”. La scienza è un marchio di casa. Il padre Aldo, morto 50enne, era docente universitario di Fisica. La sorella Silvia è ordinaria di Matematica all’Università di Bari. Il fratello Gino ha la cattedra di Biologia alla Jefferson University di Philadelphia. La moglie Nassia, greca, è una fisica esperta in Scienza dei materiali. Il primo figlio, Aldo, è un ingegnere chimico. Il secondo, Alex, dovrebbe laurearsi quest’anno in Chimica, mentre il terzo ha solo 11 anni, ma pare che a sua volta non si sottragga dalla passione per la scienza che si respira in casa. Finito nel ‘toto ministri’ più volte come tecnico, non è in realtà riconducibile a nessun partito: partecipa nel 2019 alla Leopolda su invito di Matteo Renzi, ma già dieci anni prima era intervenuto a VedDrò di Enrico Letta, e non si è negato al Meeting di Rimini. Viene insomma chiamato regolarmente dai think tank quando si parla di innovazione e tecnologia.

Garofalo, la grande esperienza a Chigi

Nato a Taranto, classe 1966, Roberto Garofalo è un magistrato, giudice del Consiglio di Stato, ed è stato capo di Gabinetto al Mef. Magistrato ordinario fino al 1999, impegnato in processi anche di mafia, e giudice amministrativo dal 2000, è stato capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia con Pier Carlo Padoan ministro, nei Governi Renzi e Gentiloni, e poi con Giovanni Tria nel Governo Conte I. La sua è stata una lunga esperienza nelle stanze del Governo: da fine 2011 con l’Esecutivo Monti, poi segretario Generale della Presidenza del Consiglio con Enrico Letta e prima ancora capo ufficio Legislativo del ministero degli esteri con Massimo D’Alema nel governo Prodi II. Come capo di gabinetto del ministro Tria, Garofoli è stato tra gli alti funzionari dello Stato al centro delle polemiche contro i “burocrati” accusati dal Movimento 5 Stelle di essere “servitori dei partiti e non dello Stato” (fecero rumore, tra l’altro, le critiche ai tecnici del Tesoro in un audio del portavoce della Presidenza del Consiglio, Rocco Casalino). Contro di lui c’era stato anche un attacco diretto: sua ‘la manina’ – è stata la tesi dei 5 Stelle – era stata giudicata ‘colpevole’ di aver inserito nel Dl Fiscale due commi per destinare 84 milioni in tre anni alla “gestione liquidatoria dell’ente strumentale alla Croce Rossa Italiana”. Fermissima fu la difesa di Giovanni Tria: nessuna manina, solo “una soluzione tecnica” a tutela dei lavoratori, per pagare il Tfr, aveva detto il ministro liquidando l’attacco come “privo di fondamento e irrazionale”. Ma il clima era tale che Garofoli decise di dare le dimissioni, dopo essersi consultato con il Quirinale che gli era sempre stato vicino: “E’ un prezzo che dobbiamo pagare. Siamo professionisti al servizio del Paese, come avviene in tutte le grandi democrazie occidentali” disse ai suoi collaboratori lasciando l’incarico per tornare al Consiglio di Stato. Autore di numerose opere e collane su temi giuridici ed economici, condirettore della Treccani Giuridica, è stato nominato dal Presidente Giorgio Napolitano Grande Ufficiale della Repubblica italiana.

Colao, super manager per digitalizzare l’Italia

Da sempre, ad ogni nuovo traguardo di un lunga carriera da supermanager, forse il più internazionale e sicuramente tra i più stimati nel mondo tra gli uomini d’azienda italiani, Vittorio Colao è stato inquadrato nella scalata al successo del vivaio milanese dei ‘McKinsey Boys’. Un manager da sempre apprezzato e corteggiato (e spesso a vuoto) da Governi e politica: bresciano, classe 1961, famiglia con un ramo di origini calabresi, bocconiano con un master a Harvard, nel 2014 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. Sempre serio, atteggiamento schivo, cortese e determinato, il suo autoritratto può essere sintetizzato in un episodio che, tempo dopo, lui stesso ha raccontato. Nel 2018 aveva così spiegato la scelta di non lasciare il suo lavoro di capo azienda per un incarico al Governo: “E’ vero che in passato mi hanno offerto di fare il ministro, ma avevo un lavoro bello e importante da completare, dipendevano da me più di 100mila persone. Credo che gli impegni di lavoro vadano conclusi”. La società che non aveva voluto lasciare era un colosso mondiale, il gruppo delle tlc Vodafone che ha guidato dal 2008 al 2018 in un intenso lavoro di riorganizzazione e di crescita. Quel percorso era iniziato nella seconda metà degli anni ’90, in Italia prima di volare a Londra, prima come direttore generale poi amministratore delegato di Omnitel che diventerà Vodafone Italia. Aver domato le sfide del settore delle tlc, negli anni della fine dei monopoli e delle gare per l’inseguirsi delle nuove tecnologie della rivoluzione del mobile, è forse la sua esperienza più vicina al ruolo che si accinge ad assumere nel Governo di Mario Draghi: ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. E’ stato un lungo percorso, quello in Vodafone, interrotto nel 2004 e per un paio di anni, per un altro incarico di primissimo piano, alla guida di Rcs MediaGroup. Più volte il nome di Vittorio Colao è ricorso, negli ambienti del Governo, quando si cercava un manager per problemi da districare. Lo scorso aprile è arrivata la chiamata a cui non poteva dire di no, dal Governo Conte, per la sfida più grande: guidare la la task force per la ‘ripartenza’ dell’Italia, di un Paese e di una economia travolti dall’emergenza del Covid-19. A lui ha fatto riferimento il lavoro del gruppo di ‘alto livello’ di giuristi, economisti, esperti, incaricato di mettere a fuoco le sfide di una emergenza senza precedenti e di studiare le strade per uscire dalla crisi. 

Franco, il ritorno del super esperto di conti pubblici

Per Daniele Franco, il neo ministro dell’Economia e Finanze, l’ingresso nel governo che lo porterà a varcare il portone di via XX settembre rappresenta un “ritorno”. Esperto di conti pubblici, attuale direttore generale di Bankitalia, è stato Ragioniere Generale dello Stato, un ruolo dal quale ha svolto un ruolo di garanzia. Il suo curriculum garantisce a Draghi competenza e rigore professionale, e conoscenza capillare dei meandri e dei meccanismi del bilancio pubblico e di una pubblica amministrazione da semplificare. Ma è innegabile che l’arrivo di Franco, un uomo sempre cortese, pacato e attento a mantenere un basso PROFILO, segna in qualche modo un ‘tornante’ culturale: la rivincita dei ‘tecnici’ dopo la lunga stagione, seguita al Governo Monti, in cui la parola d’ordine della politica era, appunto, il ‘primato della politica’. Una rivincita di alcune istituzioni, a partire dalla Banca d’Italia, da sempre risorsa di uomini ‘riserve della Repubblica’ pronte a venire in soccorso quando la politica va in tilt. E la rivincita personale di Franco, suo malgrado al centro di un tourbillon politico che, a cavallo fra il 2018 e 2019, lo vide lasciare con amarezza la carica di Ragioniere generale dello Stato quando un messaggio privato dell’allora portavoce del premier Conte finì sui giornali esponendolo ad accuse insultanti. Quando la sua Ragioneria, cane da guardia di saldi e coperture finanziarie, vide incrinarsi il rapporto col Governo gialloverde ansioso della ‘bollinatura’, e l’allora vicepremier Luigi dichiarò a suo proposito “non dico che non mi fido ma non è nemmeno il mio migliore amico” sottolineando, appunto, il “primato della politica”. L’esperienza di Franco, veneto classe 1953 di Trichiana, nel bellunese, è a tutto tondo: dopo la laurea, master in economia in Gran Bretagna, poi una carriera, scandita da incarichi accademici, fra Bankitalia, dagli esordi dopo la laurea al rientro con Draghi Governatore, la Commissione europea dove è advisor della DG Affari economici, la collaborazione con la Bce. Fino alla nomina a Ragioniere generale dello Stato, nel 2013, e nel 2019 l’arrivo ai vertici di Bankitalia e, dal 2020, la nomina a numero due del Governatore e la presidenza dell’Ivass. Le sue idee il potenziale ministro dell’Economia o sottosegretario a Palazzo Chigi le ha ribadite in un intervento alla Giornata mondiale del risparmio, lo scorso novembre. Un’Italia che già “fatica strutturalmente a crescere” colpita duramente – specie nei settori come turismo o ristorazione – da una pandemia in cui “è difficile rovesciare le aspettative” perché il problema sono i contagi. Con un debito pubblico che andrà ridotto con “molta continuità” perché gli interventi della Bce non dureranno per sempre. E una crescita da recuperare puntando su giovani, istruzione, investimenti, innovazione: un programma tagliato apposta per l’esecutivo Draghi.

Giovannini, l’ideatore di Garanzia Giovani

Ex ministro del Lavoro, ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini e’ stato Chief Statistician dell’Ocse, co-fondatore e Portavoce dell’ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, ordinario di statistica economica all’Universita’ di Roma “Tor Vergata”, docente di Sviluppo Sostenibile presso l’Universita’ LUISS. Romano, 63 anni, sposato con due figli. Nominato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel gruppo dei “saggi”, e’ stato da aprile 2013 a febbraio 2014 Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del governo presieduto da Enrico Letta, dove si e’ trovato ad affrontare numerose questioni, una tra tutte la spinosa vicenda degli “esodati” a seguito della riforma Fornero del governo Monti. E’ stato inoltre l’ideatore di “Garanzia Giovani”, realizzato poi dal suo successore Giuliano Poletti, il programma con l’intento di combattere la disoccupazione giovanile. Solo pochi giorni fa Giovannini ha lanciato l’idea di una “banca dati nazionale degli occupati, dei cassintegrati e dei disoccupati”, e in un’audizione alla Camera ha sottolineato la necessita’ di un’accelerazione della transizione digitale ed ecologica come driver per lo sviluppo sostenibile

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