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[Lo scenario] Il voto di domenica e il finale a sorpresa. Il Sud sarà determinante

La campagna elettorale è ormai giunta al termine. Ora si aspettano i risultati del voto di domenica, con un interesse particolare per quelli che saranno i risultati nel Sud, punto determinante nell’esito finale.

«L’affermazione del M5S nel Mezzogiorno è una previsione diffusa, rafforzata peraltro da tutti i sondaggi diffusi prima del consueto e poco comprensibile divieto. È una variabile che può condizionare il risultato di domenica, riproponendo la questione del tavolino a tre gambe: ossia un sistema che non si limita a un tendenziale bipolarismo più o meno forzato, imposto dalle due coalizioni di destra e di sinistra, ma riconosce la presenza di altri soggetti in grado di scompaginare i giochi. Lasciamo da parte l’opzione Calenda-Renzi, il binomio che pure è in grado di ritagliarsi un ruolo incisivo nel prossimo Parlamento. Il soggetto che realmente potrebbe influire sugli assetti del post 25 settembre è il movimento di Conte». Lo sostiene l’analista politico Stefano Folli dalle colonne del quotidiano La Repubblica.

«L’avvocato “del popolo” è entrato in sintonia con il suo elettorato, arrivando al giorno delle elezioni con un profilo assai più definito di quando aveva cominciato la sua avventura. È uno scenario che pochi avevano previsto, forse non immaginando che la vena populista di Conte fosse così brillante (anche per responsabilità di chi ancora una volta non ha voluto o saputo rivolgersi al Mezzogiorno con il giusto linguaggio). Resta da capire che uso i 5S faranno dei loro ritrovati consensi. Ma in primo luogo c’è da domandarsi quale equilibrio parlamentare produrrà il nuovo triangolo elettorale (centrodestra, centrosinistra, pentastellati)» prosegue nel suo ragionamento Folli.

L’analisi del Sole

«Sul Sole 24 Ore Roberto D’Alimonte avanza l’ipotesi che nel Sud i candidati di Conte siano in grado di sottrarre alla destra un certo numero di seggi uninominali: fino a rimettere in discussione, in particolare al Senato, la maggioranza Meloni-Salvini-Berlusconi. È una prospettiva che lo studioso considera improbabile, ma non impossibile».

«Ancora un paio di settimane fa nessuno la prendeva neanche in considerazione, adesso il lievitare dei sondaggi rendono in qualche misura concorrenziale il M5S. Lo sarebbe ancora di più, aggiungiamo, se si verificasse una sorta di “desistenza” di fatto: cioè se i candidati del Pd, sentendosi battuti in partenza, convogliassero i loro voti — almeno in alcuni collegi in bilico — sugli esponenti “contiani”».

«La mossa avrebbe una logica e, se pure non fosse sufficiente a ribaltare i rapporti di forza nelle nuove Camere, costituirebbe un indizio decisivo circa il dopo-elezioni. Sappiamo che nel Pd esiste una potente corrente che si propone di riprendere quanto prima il rapporto con i 5S. Tuttavia, se la bilancia elettorale pendesse in modo evidente a favore di Conte — già considerato a suo tempo il “punto di riferimento dei progressisti” —, per il partito di Letta (o dei suoi successori) sarebbe arduo accettare una specie di sudditanza di fatto nei confronti dell’ex alleato».

«A maggior ragione se nel Mezzogiorno si verificasse quella notevole avanzata dei 5S che molti prevedono o temono. E si capisce perché. Un’avanzata che spingesse una parte dell’elettorato del Pd a supportare i candidati “contiani” come unico argine verso la destra, segnerebbe una drammatica, forse definitiva perdita di ruolo per la maggiore forza del centrosinistra. Ne discende che l’importanza del voto nel Mezzogiorno è duplice».

«In primo luogo, perché può determinare, come spiega D’Alimonte, qualche sorpresa nella distribuzione dei seggi. E in secondo luogo perché è in grado di ridefinire la relazione tra Pd e 5S. L’eccessiva debolezza del primo, insieme all’eccessiva forza dei secondi, aprirebbe la strada a un futuro in stile Mélenchon. Non proprio quello che si augurano gli esponenti riformisti, legati all’Europa e all’Alleanza Atlantica, del Pd».

Il Nord che rischia di rimanere senza voce

Secondo l’analista politica del Sole 24 Ore Lina Palmerini invece «la novità, però, potrebbe non essere solo un Meridione che ritrova un suo “portavoce” politico ma un Nord che ne resta sguarnito. Nel senso che la Lega che una volta si chiamava – appunto – Lega Nord, ha mutato la sua mission, ha cercato una declinazione più nazionale e ha in parte trascurato le radici che l’hanno portata fin qui. Anche Berlusconi ha dato rappresentanza a tutta un’area geografica che traina il Pil italiano ma dalle parti di Arcore non c’è più quel vigore – anche nei numeri – di un tempo».

«Si è così assistito a un riposizionamento del partito di Meloni. Sud e Nord cercano nelle urne i loro portavoce sua collocazione principalmente da Roma in giù ma che oggi, visti gli spazi concessi dagli alleati, sta cercando di sfidarli in Padania. Così come Azione di Calenda e il partito di Renzi stanno provando a riempire un vuoto mettendo all’indice i “traditori” del Governo Draghi a cui il mondo dell’impresa si era aggrappata».

«Insomma, quella terra – che una volta era sbarrata per le forze di Roma – ora sembra aver perso il suo punto di riferimento e si interroga su quale sia la forza più adatta a interpretarne le ragioni economiche e sociali» prosegue la Palmerini «Il rischio che alcuni vedono è dalle urne esca un Sud che trova un suo consistente presidio parlamentare e un Nord senza più un interlocutore forte, indebolito nella rappresentanza numerica».

«Nel Carroccio continuano a indicare i Governatori e la loro presa sui territori come linea del fuoco contro chiunque abbia pretese di conquista. Vedremo. Certo è che se la Lega perderà la sua primazia, verrà messo in discussione quel ruolo di partito/sindacato del Nord e si conclamerà una crisi di fiducia in un momento complesso per l’economia e per l’industria. Senza contare i danni di rappresentare queste due facce d’Italia in una chiave di contrapposizione, come già emerge dalla campagna elettorale».

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