I fiumi tombati hanno implicazioni importanti sul piano della prevenzione del rischio idrogeologico, della protezione ambientale e dello stesso sviluppo economico delle comunità locali.
Gli ambienti naturali sono caratterizzati da una perenne condizione di dinamicità e diversificazione di processi e forme che sono la risposta stessa con cui tali ambienti ritrovano un assetto di equilibrio rispetto a condizioni di disturbo o di lungo termine, indotte da perturbazioni sia naturali che di origine antropica.
I tentativi fatti dall’uomo di governare gli ambienti naturali, prevalentemente per il proprio sviluppo socio-economico, hanno mostrato insieme l’inefficacia e inefficienza di un approccio uni-funzionale non soltanto rispetto al conseguimento dell’obiettivo specifico, per il quale viene adottata una determinata soluzione tecnica, ma anche in relazione alla sostenibilità ambientale ed economica della soluzione stessa.
Se pensiamo al tema della difesa idraulica (vale a dire alla mitigazione del rischio di alluvioni) quanto detto risulta particolarmente evidente.
La Direttiva Alluvioni del 2007, sottolineando che esse sono fenomeni naturali consistenti nell’allagamento temporaneo di aree abitualmente non coperte d’acqua, anche con trasporto/mobilitazione di sedimenti, pone l’accento sul fatto che alcune attività antropiche e i cambiamenti climatici (anch’essi, comunque, riconducibili alla sfera antropica) contribuiscono ad accrescere la probabilità di accadimento e gli impatti negativi degli eventi alluvionali.
In effetti, nel corso degli ultimi secoli, la progressiva antropizzazione dei territori ha comportato non solo la loro trasformazione in termini morfologici e di copertura del suolo, ma ha attivato un processo di artificializzazione dei corpi idrici e di alterazione dei regimi idrologici e sedimentari, con ripercussioni sulla formazione e sul mantenimento degli habitat, sull’integrità degli ecosistemi associati e, di conseguenza, sulla loro capacità di erogare servizi ecosistemici.
Ciò è avvenuto per soddisfare sia la necessità di difendere quanto presente nelle aree occupate dalle attività antropiche, sia quella di prelevare risorse (acqua e sedimento) per i diversi usi.
In particolare, a partire soprattutto dagli anni ’50 del secolo scorso, profonde trasformazioni hanno interessato la maggior parte dei fiumi italiani, per effetto di interventi antropici quali costruzione di dighe, prelievo di sedimenti dagli alvei, variazioni di uso del suolo.
Tali interventi hanno riguardato sia gli aspetti morfologici che di dinamica d’alveo, modificato il regime delle portate liquide e di quelle solide, condizionato aspetti quali la mobilità laterale, attivando spesso processi diffusi e marcati di restringimento e di incisione degli alvei fluviali con compromissione, talvolta, anche della stabilità delle infrastrutture di attraversamento (ponti stradali e ferroviari).
La sottrazione di spazi di naturale espansione ai corsi d’acqua a vantaggio di una maggiore disponibilità di spazi, da destinare a insediamenti abitativi e produttivi e alle relative infrastrutture, raggiunge livelli parossistici con le cosiddette tombinature, dette anche tombature, che rappresentano realmente la tomba dei corsi d’acqua, queste scatole, che li ingabbiano rigidamente, hanno impatti devastanti da un punto di vista ambientale, poiché implicano la totale distruzione di habitat, ecosistemi e servizi ad essi connessi, tra cui il servizio di regolazione delle portate di piena, cioè la naturale capacità di ridurre volumi ed energia delle piene, fondamentale da un punto di vista della difesa idraulica.
Il livello di conoscenza, anche solo spaziale (localizzazione ed estensione) delle tombinature a livello nazionale è piuttosto scarso; basti pensare che delle 7 autorità di distretto idrografico italiane, solo la Regione Sardegna prevede come misura di prevenzione, all’interno del proprio Piano di gestione del rischio di alluvioni, l’aggiornamento del “Repertorio dei canali tombati”.
Guardando ai contenuti, trovano evidenza alcune delle problematicità connesse alle tombinature, non solo in relazione alla frequente e comune difficoltà di disporre di informazioni complete, ma più in generale alle criticità connesse alla progettazione e gestione dei tratti tombati.
Si tratta di problematiche tipiche dei tratti tombati e quindi estendibili a livello nazionale, come le considerazioni che andrò a fare di seguito.
Il Repertorio registra, ad esempio, che circa il 36% dei tratti censiti versa in condizioni di scarsa manutenzione.
Il dato temporale, relativo alla pulizia dei canali, non è disponibile per più della metà dei tratti e, ove riportato, mostra che solo in rarissimi casi essa viene effettuata annualmente o comunque con una certa periodicità.
Altro buco nero sono le portate di progetto, questione ulteriormente problematica quando le sezioni dei tratti tombati cambiano forma e dimensioni lungo il percorso.
Un aspetto che va sottolineato è che, come gran parte della progettazione idraulica tradizionale, si tratta di opere dimensionate con riferimento a portate liquide associate a determinati tempi di ritorno.
Ciò porta con sé il vulnus di non tenere conto che, come detto, le alluvioni avvengono anche con trasporto solido, il che significa non solo sedimento, ma anche legname e, in taluni casi, materiale di rifiuto trascinato dalla corrente.
Anche a prescindere dalla componente solida, le stesse portate liquide possono risultare scarsamente rappresentative, dato che i cambiamenti climatici e le variazioni di uso del suolo, modificano intensità e persistenza delle precipitazioni e il modo in cui esse si trasformano dapprima in ruscellamento superficiale e poi in deflusso in alveo, e quindi in piene.
Ne consegue che tali canali, per lo più dimenticati e trascurati per la maggior parte del tempo e dalla maggior parte delle politiche di mitigazione del rischio, riacquistino visibilità in occasione di eventi di piena non necessariamente estremi, con tutto il carico di danni e distruzione che ciò comporta.
EUROPA:
Il tema non riguarda soltanto il nostro paese, che sicuramente ha delle specificità legate alla sua particolare orografia e idrografia.
Secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente, di cui mi onoro di essere vicepresidente, circa il 20% delle acque di superficie dell’Unione europea è sottoposto a pressione significativa a causa dell’esistenza di barriere di diversa natura, come dighe, sbarramenti, tombinamenti.
Ne sono state ufficialmente registrate in tutta Europa 630.000 ma, secondo ricerche attendibili menzionate dall’Agenzia, il totale potrebbe avvicinarsi a circa un milione.
Queste barriere costituiscono una delle maggiori cause di cattive condizioni ecologiche nei fiumi.
Come osservato da studi condotti dalla commissione europea, gli investimenti in questa direzione possono dare un forte impulso alle attività socioeconomiche locali, come il turismo e le attività ricreative, migliorando al tempo stesso la regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni, gli habitat ittici di crescita e l’abbattimento dell’inquinamento da nutrienti.
In questo senso si pongono anche la normativa in vigore o in via di definizione a livello di Unione europea.
Ricordo che la direttiva quadro sulle acque già impone in termini generali di conseguire un buono stato dei fiumi, dei laghi e delle acque sotterranee, anche ristabilendo le condizioni naturali dei fiumi rimuovendo o adeguando le barriere esistenti.
Come recentemente sottolineato in sede di Agenzia europea per l’ambiente, occorre un ulteriore significativo miglioramento nella esaustività e aggiornamento della base informativa sulla frammentazione dei fiumi.
Anche se il monitoraggio e la mappatura delle barriere hanno fatto registrare negli ultimi anni un parziale progresso a livello europeo, nell’ambito della raccolta di dati contenuti nei piani di gestione dei bacini idrografici, predisposti in attuazione dall’articolo 13 della direttiva quadro sulle acque dell’Unione europea.
NATURE RESTORATION LAW
Ma il recente ed importantissimo elemento di novità è contenuto dal regolamento sul ripristino della natura che il Consiglio dell’Ue ha approvato in via definitiva lo scorso lunedì 17 giugno.
Al di là del giudizio complessivo sul provvedimento, che non spetta a me esprimere, dal punto di vista tecnico scientifico segnalo che l’art. 9 impone il ripristino dello scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il 2030, in primo luogo eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure alluvionali.
Spetta naturalmente alle istituzioni competenti, oggi qui rappresentate, assumere le decisioni appropriate in merito alle modalità e ai tempi per conseguire, in attuazione del nuovo regolamento, questo obiettivo e alle risorse finanziarie da destinare a questi interventi.
Voglio tuttavia sottolineare che queste decisioni possono essere operate, soltanto se si dispone di dati affidabili, aggiornati, puntuali in merito alle barriere esistenti, alla loro effettiva destinazione o sopravvenuta obsolescenza, all’impatto che esse determinano, al contesto rilevante.
E in questa prospettiva, il medesimo articolo 9 stabilisce che sia compilato preliminarmente un inventario delle barriere artificiali alla connettività delle acque superficiali.
E che, tenendo conto delle funzioni socio-economiche delle barriere artificiali, si individuino quelle da rimuovere al fine di contribuire al richiamato obiettivo di ripristino entro il 2030.
CONCLUSIONI e RUOLO ISPRA
Sarebbe certamente auspicabile, su questo tema come su molti altri, disporre di regole comuni e vincolanti per la raccolta omogenea di dati a livello europeo.
È necessario investire nella ricostruzione di un quadro conoscitivo di dettaglio di tali opere che sia di supporto alla gestione programmata degli interventi di monitoraggio e di manutenzione, ma anche alla valutazione dell’opportunità di restituire spazio e naturalità ai corsi d’acqua tombati.
Il nostro Paese dovrà includere l’inventario delle barriere e gli obiettivi relativi alla loro eliminazione, ai fini del ripristino dello scorrimento libero dei fiumi, in un piano nazionale di ripristino che andrà presentato entro 24 mesi dalla entrata in vigore del medesimo regolamento.
Il Piano dovrà coprire il periodo fino al 2050 e prevedere scadenze intermedie.
Si apre dunque una fase complessa, prima di tutto sul piano tecnico, di studio, analisi e quindi di scelte politiche decisive per affrontare la questione dei fiumi tombati, in attuazione del nuovo Regolamento nel nostro ordinamento.
In questa prospettiva, voglio sottolineare che Ispra ha già la capacità, se provvista di risorse adeguate, per contribuire, in collaborazione con le autorità di bacino e gli altri soggetti competenti, alla elaborazione dell’inventario nazionale delle barriere e alla individuazione di quelle la cui rimozione potrebbe contribuire sia agli obiettivi ambientali e di messa in sicurezza dei territori sia a quelli di sviluppo del turismo e delle altre attività economiche locali.
La costruzione di tale quadro conoscitivo dovrebbe essere prioritaria nel contesto della redazione dei database topografici regionali, coinvolgendo le amministrazioni comunali e in coordinamento con le Autorità di Bacino Distrettuale.
Oltretutto, si tratta di informazioni essenziali anche all’interno della pianificazione di Protezione Civile.
L’ISPRA ha da tempo pubblicato un approccio metodologico integrato, l’IDRAIM, per l’analisi dei corsi d’acqua volto a valutarne lo stato, sia in termini di processi ecologici che di pericolosità da alluvioni.
Tale approccio, qualora fosse applicato più diffusamente, fornirebbe un utile contributo alla localizzazione dei tratti tombati, alla valutazione degli impatti e all’individuazione di possibili misure di riqualificazione di tali tratti.