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Abbiamo bisogno dell’alta velocità. Ma di quella vera. Senza false etichette

Se uno si ferma solo a leggerle sono davvero delle buone notizie. Ottime notizie. Finalmente si è deciso di investire sui treni, sull’alta velocità, sulla modernizzazione di un Paese che si è fatto schiavo non solo ideologicamente dell’automobile e prigioniero di infrastrutture obsolete, che quando ci va bene sono ormai inutili. Nelle 102 proposte che la task force guidata dall’ex ad di Vodafone Vittorio Colao c’è il completamento dell’Alta Velocità sulla dorsale tirrenica, «in modo che arrivi fino in Sicilia», con l’inevitabile recupero del Progetto sul Ponte dello Stretto, che ha già avuto un via libera bipartisan, da Salvini a Franceschini.

Il Sole 24ore ha dedicato una pagina a questo programma di investimenti, illustrandone i vantaggi per tutti. Senza l’attuale rete di Alta Velocità, il Pil italiano perderebbe 4,1 miliardi, il 2,5 per cento del totale e il 3 se rapportato al prodotto italiano lordo medio del decennio dell’AV. Il nostro Pil sarebbe cresciuto di altri 58-60 miliardi, se anche la metà mancante della popolazione – quella che vive a più di un’ora di distanza dalle stazioni dell’Alta Velocità – fosse stata agganciata alla rete. Questi 60 miliardi, scrive il giornale della Confindustria, sono la misura dello spreco per avere perso tanto tempo e non aver ancora completato quel disegno.

Bene, a leggere la stampa e ascoltare le televisioni, forse ci siamo. C’è persino il progetto per la Salerno Reggio Calabria ad alta velocità, che sarebbe una sorta di miracolo incredibile se uno soltanto si affaccia sullo stesso tratto dell’autostrada, dove tra una rapina e l’altra i pizzi della ‘ndrangheta e gli eterni lavori in corso non si capisce bene a beneficio di chi, sei costretto a viaggiare ancora più lentamente che su un qualsiasi tratturo di campagna.

Eppure l’articolo 208 del Decreto Rilancio destina 40 milioni del contratto di programma al progetto di fattibilità che entro il 2021 dovrà portare il Ministro dei Trasporti alla scelta della soluzione progettuale definitiva. Resterà da decidere a quel punto come collegare la Sicilia al resto d’Italia, magari con quel famoso ponte sullo Stretto. E poi via col Pil, che ne abbiamo tanto bisogno. L’Alta velocità ha inciso addirittura con un più 6 per cento nelle città Tav, che scende poi al 3 nella media nazionale. Per intenderci, il Pil nel 2018 è stato di 1720 miliardi. Senza alta velocità sarebbe stato di 1679. E con l’alta velocità su tutta la rete, 1778.

Ne vale proprio la pena. Solo che poi ci fermiamo un attimo a pensare. Noi abbiamo sempre viaggiato tanto sui treni ad alta velocità per lavoro, e l’unica cosa certa sono i ritardi che abbiamo accumulato, dai 30 minuti in su, facendoci perdere anche appuntamenti importanti. Non siamo mai, dico mai, arrivati una volta in orario. E quando protestavamo ci rispondevano sempre la stessa cosa: che c’erano troppi treni ad alta velocità e che la rete era inadeguata.

E allora cosa succederà quando raggiugerà tutto il Paese? Arriveremo il giorno dopo? Le ferrovie da noi sono una vergogna del mondo, con manager superpagati, che non si sa bene perché e per quale merito. Vogliono fare l’alta velocità in Sicilia? Magari. Però perché fino adesso non hanno fatto niente? Leggete Wikipedia, alla voce Rete Ferroviaria in Sicilia: la rete è per la massima parte a binario unico, 1146 km su 1369, di cui elettrificati 791. In Sicilia la rete, nel 2008, si configurava paradossalmente somigliante a quella degli inizi del ‘900.

E allora, noi rivolgiamo una preghiera a quelli che possono decidere il nostro futuro. Facciamola l’alta velocità. Ma facciamola davvero, approfittiamo di quello che c’è successo per modernizzarci sul serio e non per appiccicare delle targhette su un sistema corroso e antiquato.

La domanda è se possiamo farlo. Se i lacci e i lacciuoli di tutte le mafie, anche quelle della burocrazia e della politica, che si prendono gli appalti e ci rubano da sempre i soldi e il futuro, ce lo lasciano fare.

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