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Precari, free lance, Co.co.co. e piccole partite IVA. Ecco chi sono i dimenticati del decreto Rilancio

Nel grande marasma del dopo quarantena, c’è una fetta d’Italia che non sa ancora se riuscirà a salvarsi o di che morte dovrà morire.

E se alle porte c’è in arrivo il Decreto Rilancio, è altrettanto vero che non sempre i conti sembrano tornare per tutti.

Il governo ha previsto che l’indennità per gli iscritti alla gestione separata Inps sale da 600 a mille euro per il mese di maggio.

Ma in mezzo c’è un articolo, l’84, che allontana questo beneficio da una parte consistente dei lavoratori.

I liberi professionisti iscritti alla gestione separata Inps e i collaboratori coordinati e continuativi, i famosi cococo, che avevano regolarmente ricevuto i 600 euro a marzo hanno diritto a prenderli anche ad aprile, ma per il mese di maggio dovranno fare i conti con quell’articolo 84, che prevede che «i soldi spettano solo a chi può dimostrare di aver subito nel secondo bimestre del 2020 una riduzione pari ad almeno il 33 per cento del reddito, calcolato come differenza fra i ricavi e le spese sostenute, rispetto allo stesso periodo del 2019».

Se l’intenzione del governo era evidentemente quella di selezionare la platea degli aventi diritto, scegliendo di elargire la cifra ai lavoratori più in difficoltà, per evitare anche il ripetersi di alcune scandalose richieste pervenute da notai e affini con redditi da nababbo o dichiarazioni al fisco quantomeno dubbie, il risultato alla fine è un po’ diverso.

Come fa notare Anna Soru, presidente della Associazione freelance Acta, «quella norma può andar bene per i commercianti, ma applicata ai lavoratori indipendenti non ha senso».

Maria Angela Sillemi, freelance nel settore dell’editoria, spiega bene una situazione che è comune a quasi tutti i suoi colleghi: «Io a marzo e aprile ho lavorato portando a termine quello che mi era stato commissionato nell’anno precedente. Altri, nelle mie stesse condizioni, sono stati pagati magari in quei mesi per impegni che avevano appena chiuso qualche tempo prima. Ma adesso, finiti quegli incarichi, con il mondo dell’editoria fermato dalla quarantena e che tarda ancora a riprendersi, le nuove uscite sono state bloccate e bisogna aspettare chissà quanto prima che il mercato riprenda. I testi scolastici, che sono gran parte del nostro editing, probabilmente resteranno quelli degli anni passati e quindi ci sarà ancora meno occasione di guadagno. Dopo il danno la beffa. Restiamo senza lavoro per un tempo indefinito e non abbiamo diritto neanche al bonus di mille euro».

Come se non bastasse a giugno ritornano implacabili le scadenze fiscali, e i 600 euro di marzo e aprile se ne andranno per pagare l’Irpef e il saldo Inps.

Andrea, invece, che collaborava a partita Iva in uno studio di commercialisti, ha raccontato al Fatto Quotidiano che «con la riduzione del lavoro hanno deciso di tenere gli assunti e lasciare a casa noi. Ho già ricevuto il preavviso. Da luglio sarò a piedi, e come si dice in questi casi dovrò cercarmi un nuovo posto. Che, con i tempi che corrono, è una cosa fra le più difficili che ci sia. E io, oltre a non prendere i mille euro, non avrò diritto alla Cassa integrazione o ad altri ammortizzatori».

L’impressione è che, come sempre, anche in questo caso non sia tanto il Decreto Rilancio a dover essere messo in discussione (il sottosegretario al lavoro Francesca Puglisi ha già assicurato che verrà corretto nel passaggio parlamentare, magari sostituendo quel criterio di selezione con un tetto sui redditi, oltre il quale non si avrà più diritto a percepire il bonus) quanto l’intera costruzione di un sistema che continua a ignorare assurdamente il mondo dei giovani e del precariato.

Pure questa volta precari, freelance, cococo e piccole partite Iva restano ai margini, senza una rete di protezione. Anna Soru spiega comunque che per quel che riguarda il decreto Rilancio hanno due richieste da fare: «garantire le mille euro a tutti e prevedere un controllo a consuntivo. A fine anno chi non ha avuto un calo di reddito restituirà la somma. E poi rinviare a gennaio 2021 le scadenze Irpef e Inps».

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