Sanremo specchio dell’Italia.
Così Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Sanremo ti ricorda qualcosa, ma non sai bene che cosa.
È quasi tutto brutto: le scenografie, i costumi, gli smoking di Amadeus in acciaio inox e vetroresina, per non parlare dei testi dei monologhi (roba da rimpiangere persino la ‘pikkola Chiara’ nel senso di Ferragni), 9/10 delle canzoni e pure i mazzi di fiori.
Il dolore, il tumore, il lutto, il suicidio, la guerra, il body shaming diventano industria della lacrima, trash show a mezzadria fra il concerto dei neomelodici, il marketing cassamortaro delle onoranze funebri Taffo e il libro prêt-à-porter del padre della vittima di femminicidio” scrive nel suo editoriale in prima paina.
“L’antifascismo – osserva Travaglio – è manierismo canzonettaro, col Bella Ciao di Ama&Mengoni.
Anche la trasgressione è farlocca.
A furia di levare questo e quello per il terrore di disturbare non si sa più neppure chi, non è rimasto nulla.
È vero: fa ascolti, cioè pubblicità, cioè soldi.
Ma meno dell’anno scorso e più del prossimo.
E li farebbe anche se fosse divertente.
Non è snobismo da ‘io non mi abbasso a vedere Sanremo’.
Certo che lo vediamo, un po’per dovere d’ufficio, un po’per rassegnazione.
Ma cosa vieta di chiamare, oltre a Fiorello e Giorgia, qualcun altro bravo, uno del mestiere, al posto del carrello dei bolliti?
Mentre ti poni queste domande, arriva sul palco lo storico scenografo per il premio alla carriera.
E chi lo premia?
Sua figlia, che lui nomina sua erede.
Come nel governo dei fratelli, sorelle, figli, cognati e amichetti d’Italia; ma anche la cosiddetta sinistra chiagni & fotti che si pappa la Rai, poi fa i sit-in perché mangiano anche gli altri e misura la libertà d’informazione dal minutaggio dei leader.
Poi arriva la star di Hollywood con le sneakers di cui è testimonial e, casomai non si notino abbastanza mentre accenna a due passi di danza con Amadeus, questi si leva le sue, ma mica è pubblicità occulta, figuriamoci: infatti è palese.
Così pensi a Sgarbi, Gasparri, Lotito, i Berluschini, Elkann, De Benedetti, Caltagirone, Angelucci e a tutti gli altri che mica sono in conflitto d’interessi, figuriamoci: solo interessi e nessun conflitto.
E finalmente – conclude – capisci a chi somiglia Sanremo 2024: all’Italia del 2024.
Quindi non è solo brutto: è anche perfetto” conclude Travaglio.