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Nicolò Patroniti (dirigente Policlinico San Martino): «Ecco la nostra stanza per gli addii ai malati di Covid»

Tra gli aspetti più drammatici della pandemia c’è sicuramente l’impossibilità per i parenti di persone malate di far loro visita, specie negli ultimi momenti, un momento importante anche per chi resta, non solo per chi si spegne. Da questo dolore si è partiti nel reparto di rianimazione Covid del policlinico San Martino, con l’obiettivo di creare un luogo il più possibile riservato dove i pazienti in fin di vita e i loro parenti potessero stare vicini per l’ultima volta.

Le lenzuola bianche senza una piega, il cuscino senza nessun segno, le sedie per i parenti già girate verso il letto alla stessa distanza, tutto pronto per accompagnare il paziente nell’ultimo viaggio. È la stanza degli addii, allestita al San Martino di Genova. Due anni di Covid-19, una malattia che ha cambiato le abitudini delle persone, ha bandito le strette di mano e ha insegnato a mantenere la distanza.

«Nella prima ondata era il buio totale» spiega Nicolò Patroniti, dirigente medico universitario anestesista del reparto Covid rianimazione, «una cosa devastante sia per il paziente che moriva sia per i parenti. Nella maggioranza dei casi i familiari salutavano al Pronto Soccorso la persona che veniva ricoverata, senza riuscire a rivederla ma più fino a quando veniva restituita loro un’urna con le ceneri o una bara». Poter tenere la mano al paziente, anche se è incosciente, è una «terapia per chi rimane, il ricordo che resta degli ultimi momenti». Il paziente resta in questa stanza e i parenti possono rimanere, anche alternandosi tra loro, per le ore o i giorni necessari sino al trapasso.

«Possono vivere il proprio dolore come meglio sentono» dice ancora Patroniti, «piangendo e pregando. Nello stesso tempo questa organizzazione ci permette di isolarli dagli altri pazienti, evitando a questi ultimi anche lo stress di un “compagno di stanza” che non ce la fa. Nella prima ondata tutto ciò non è stato possibile». Subito dopo l’entrata, in una bacheca campeggiano lettere e messaggi di ringraziamento dei guariti, ma anche dei parenti di chi non ce l’ha fatta, come quello di Daniele: un biglietto con 7 volte scritto “Grazie”.

«Era un uomo sano senza problemi, sportivo, che è stato sempre cosciente», ricorda Valentina Fassone, fisioterapista respiratoria. Ma non ci sono solo memorie tristi: «Un caso finito bene è quello di una ragazza molto, molto grave» continua Valentina «che dopo momenti difficili, piano piano si è ripresa ed è uscita con le sue gambe».

«Affrontare il momento della fine della vita non è mai facile, ma con questa pandemia aiutare i parenti e le persone che si spegnevano è stato ancora più complicato» afferma Angelo Grattarola, direttore di anestesia e rianimazione del San Martino. «Elaborare il lutto per chi rimane è importante, se non viene fatto nella maniera corretta può lasciare strascichi importanti difficili da superare. Siamo riusciti a farlo in questa fase di minore pressione sul reparto, rispetto alle prime due ondate, augurandoci che la camera rimanga vuota il più a lungo possibile e che in futuro resti solo un ricordo. Per ora però è un passaggio fondamentale anche per la cura: avere un viso conosciuto vicino nel momento del trapasso è fondamentale».

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