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[L’analisi] Banche centrali preoccupate dall’inflazione. Aumenta la paura per la recessione

Anche i banchieri hanno paura che l’inflazione si trasformi in recessione. Ne parlano gli economisti Galimberti e Luca Paolazzi, riconoscendo «con il senno del poi» che le Banche centrali si sono svegliate troppo tardi nella risposta all’inflazione. Per molti mesi la convinzione diffusa era che l’inflazione fosse un fenomeno destinato a rientrare relativamente presto.

La questione del gas russo

Se non è stato così, è a causa principalmente di un evento imprevedibile quale l’invasione dell’Ucraina, che ha portato a impennate dei prezzi delle materie prime – dal gas al petrolio al grano – a corse all’accaparramento, a nuove strozzature di offerta, a inciampi della logistica. «Ma oggi l’inflazione c’è» sottolineano i due economisti su Firstonline «ed è a livelli tali da costringere le Banche centrali – pena la perdita di credibilità – ad alzare i tassi e stringere la moneta. Certamente, i “falchi” vorrebbero che le autorità monetarie stringessero più presto e più forte. Che senso ha, dicono i rigoristi, tenere i tassi – anche dopo il recente aumento in America – all’1% o meno, quando l’inflazione, sulle due sponde dell’Atlantico, è poco sotto o poco sopra l’8%?».

«Qui» proseguono Paolazzi e Galimberti «bisogna precisare. I tassi decisi dalle Banche centrali sono spesso chiamati – il nomignolo è un po’ presuntuoso – tassi-guida: insomma la maestrina-Banca-centrale addita la via da seguire e guida i tassi di mercato su o giù. E la “guida” è composta da atti e intenzioni: gli atti sono, nel nostro caso, gli aumenti di questi tassi-guida; le intenzioni sono la guidance, gli annunci circa i futuri aumenti. E i mercati hanno due teste – la testa loro e la guidance – e non aspettano gli aumenti futuri per muovere i tassi».

La situazione statunitense

A titolo di esempio i due economisti ricordano come negli Usa il tasso per i mutui trentennali (il più usato per gli acquisti di abitazioni) sia aumentato molto di più (è oggi ben oltre il 5%) di quanto sia aumentato il tasso-guida dei Federal Funds. «Certamente, con l’inflazione americana oltre l’8%» continua il ragionamento «anche quel 5% è un tasso reale negativo. Ma è legittimo confrontare un tasso trentennale con l’inflazione puntuale di un mese della primavera 2022? Chi acquista casa dovrebbe confrontare quel tasso con l’inflazione che si aspetta lungo tutta la durata del prestito. E i sondaggi dicono che, già nel medio periodo (3-5 anni) le famiglie americane si aspettano un’inflazione molto più bassa, intorno al 3,5%. Rivendicando così quei giudizi di qualche mese fa circa la temporaneità dell’alta inflazione».

«Ma per la Fed anche il 3,5% sarebbe troppo: il suo obiettivo è, come si sa, il 2%. Bisogna allora abbassare le attese di inflazione, e per farlo bisogna raffreddare l’economia (che è in effetti alquanto surriscaldata). Powell ha dichiarato che non pensa che i serrati aumenti dei tassi-guida porteranno alla recessione (non vuol essere un “secondo Volcker”), ma il crinale è stretto».

Tra guerra e Covid

«Per la Bce» spiegano «il problema è diverso, ma non troppo. Anche qui la Banca è preoccupata della credibilità, e si comincia ad accennare ad aumenti dei tassi a scadenze ravvicinate (mentre i tassi sui titoli pubblici sono nettamente in rialzo – e lo spread dei BTp aumenta, perché i mercati penalizzano i Paesi che hanno più da perdere dei tassi alti). Ma il problema in Europa è diverso. La guerra in Ucraina ha stretto il nodo alla gola dell’economia, proprio mentre un altro nodo – le restrizioni anti-Covid – veniva invece allentato».

«I due effetti si sono compensati, ma, guardando innanzi, il nodo della guerra continuerà a stringersi. E l’economia del Vecchio continente, che non era certo surriscaldata, è molto più vicina al teatro di guerra rispetto all’America (c’è chi pensa ai bunker antiatomici o a trasferirsi in Nuova Zelanda). Se la “rec-flazione” (neologismo peggiore della stagflazione) dovesse arrivare potrebbe la Bce – novella Florence Nightingale – tornare al soccorso? Non come prima: la politica monetaria – sia in America che in Europa – è oggi impacciata dall’inflazione. L’asticella del soccorso» concludono «è posta più in alto e, a meno di una profonda recessione (che di per sé farebbe calare l’inflazione), le Banche centrali non saranno d’aiuto».

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