Un recente “Focus” dell’Istat, I giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta, aggiunge ulteriori elementi di preoccupazione sul nostro Sud: tra crisi demografica e consistenti flussi migratori il Mezzogiorno si avvia a diventare sempre più “vecchio” e , quindi, ad avere sempre più incerte prospettive di sviluppo. Attualmente nel Sud la quota di popolazione giovanile (18- 34 anni) è ancora più alta di quella del Centro Nord: 18,6 contro il 16,9. Ma il decremento al Sud è violentissimo: meno 28% dal 2002.
Un altro, drammatico campanello d’allarme che si aggiunge ai numeri, impressionanti, ripetutamente richiamati dalla Svimez, sulla fuga dei cervelli. Il fenomeno è continuamente richiamato, con toni accorati, da politici, economisti, opinionisti. Ma sinceramente vi è un grave squilibrio tra denuncia e proposte; tra richiami alla centralità del tema e tentativi di immaginare delle risposte, anche parziali. Vince la logica del benaltrismo che tanti danni ha fatto al Sud: ipotesi di sperimentazioni, tentativi di innovazione, interventi specifici, vengono derubricati come inutili, perché non risolutivi. Invece penso che vi sono numerosi percorsi da intraprendere specificamente orientati ad immaginare possibili interventi.
Intanto, guardando al tema della fuga dei giovani, bisogna prendere atto che la questione del lavoro è certamente decisiva, ma non è la sola che motiva l’esodo di tanti giovani. Gioca anche l’attrattività dei territori dal punto di vista sociale, dei servizi, delle opportunità culturali. Ed è su questo che bisogna lavorare: rendere complessivamente più attrattivi per i giovani, meridionali e no, i territori del Sud.
Da questo punto di vista sarebbe il caso di riprendere e rafforzare gli interventi previsti da una intelligente legge (238 del 30 dicembre 2010) che fissava incentivi fiscali per il rientro di lavoratori in Italia. Come pure si dovrebbe rinforzare l’efficacia di strumenti come “Resto al Sud”; definire programmi di ricerca che “trattengano” giovani meridionali ed attirino giovani anche stranieri, come ha fatto negli anni scorsi la Fondazione Con il Sud; riformare, finalmente in modo radicale, i servizi di formazione professionale superando una situazione paradossale per cui anche al Sud le imprese denunziano la mancanza di profili professionali adeguati; intercettare e qualificare le potenzialità di impiego nel Terzo settore; favorire la realizzazione di studentati nelle città del Sud; investire di più in servizi culturali, impianti sportivi, servizi sociali.
Ed altri interventi programmati e realizzati pensando esplicitamente e concretamente ai giovani. Ci sarà qualcuno che dirà che tutto questo è inutile, perché non risolutivo: è esattamente la logica che ci ha portato a questa situazione.