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Il Mar Rosso non spinge l’inflazione | L’analisi di Fabrizio Galimberti su InPiù

Ci sono i ‘cigni neri’ e ci sono i ‘cygnet’¸come si chiama in inglese il pulcino del cigno. Fra i primi, la pandemia, l’Ucraina, Gaza…; fra i secondi, il Mar Rosso, che sta facendo risorgere i timori di inflazione, con i paventati effetti su prezzi dell’energia e sui noli. Tuttavia, anche se è vero che da Suez transita il 12% del commercio mondiale (e una percentuale più alta del traffico di container) è anche vero che gli urti sui costi di trasporto sono una tantum: certo, circumnavigare l’Africa costa di più, ma una volta incorporato l’aumento dei noli, ci si ferma lì.

Non è probabile che parta una spirale costi/prezzi, tanto più che l’una tantum si applica anche alla durata dei problemi nel Mar Rosso, che non andranno avanti per molto tempo. E in effetti, sia il prezzo del petrolio che gli indici dei noli, dopo un’impennata inziale si stanno stabilizzando o scendendo.

Questi problemi della logistica odierna non hanno molto a che vedere con le devastazioni alle catene di offerta causate dalla pandemia. Ma anche quelle non furono la causa principale del perdurare dell’inflazione, che, nel 2021-2022, fu attizzata dal forte risveglio della domanda. Anche oggi, un ritorno dell’inflazione deve essere giudicato sulla base delle pressioni della domanda sull’offerta. L’economia mondiale, anche se meno debole del previsto (specie in America), non è così vivace da premere sui prezzi, malgrado problemi locali di offerta per l’accesso al Canale di Suez.

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