Linda Laura Sabbadini, su Repubblica, ricorda che il femminismo non nega la parola.
Giù le mani dal corpo delle donne”, gridavano i ragazzi e le ragazze del collettivo transfemminista Aracne contestando la ministra Eugenia Roccella agli Stati Generali della Natalità.
Mi sono battuta – scrive Sabbadini – per affermare questo principio quando l’aborto era ancora un reato.
Il diritto delle donne sul proprio corpo è inviolabile e così l’autodeterminazione.
È molto grave l’intento che sta dietro all’approvazione della norma che dà la possibilità alle Regioni di “avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”, incoraggiando così le associazioni pro-life più estremiste e aggressive a intervenire sul diritto all’aborto sancito dalla legge 194.
L’interruzione di una gravidanza è un momento doloroso della vita di una donna.
I consultori sono stati indeboliti, invece che rilanciati, e ben poco difesi, anche se rappresentano un presidio prezioso per la salute femminile, in particolare riproduttiva.
La legge 194 ha prodotto una drastica diminuzione degli aborti, si sarebbe potuto e dovuto puntare sulla contraccezione gratuita e sull’educazione sessuale, non su un’ipocrita dissuasione e sulla repressione.
E qui si segna una grande distanza con la ministra Roccella perché era dovuta una parola chiara visto che aveva dichiarato di difendere la legge 194.
Il conflitto è il sale della democrazia, la libertà di parola anche.
Ma ieri è stato impedito a Roccella di parlare.
E non è la prima volta.
La democrazia non può essere a senso unico, a fronte della censura operata dai vertici Rai nei confronti di Antonio Scurati ci siamo indignati, per le violente cariche di polizia contro gli studenti di Pisa anche.
Non dobbiamo accettare che si neghi il diritto di parola ad una ministra, come a chiunque, anche se la distanza è grande.
Tanto più che i contestatori hanno potuto esporre le loro ragioni dal palco.
Dopo avrebbero dovuto ascoltare anche le ragioni che non condividevano.