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Francia: quando lo Stato diventa banca

C’è banca e banca, c’è moneta e moneta, c’è tasso e tasso. I dati del sistema bancario francese, non solo quelli riferiti ai primi nove mesi del 2020, ma anche agli andamenti di questi ultimi anni, dimostrano che non solo tutto è relativo, ma che è apparentemente contraddittorio, se non si colgono le torsioni strutturali determinate dalle risposte straordinarie che sono state date dalle autorità monetarie e dagli Stati a partire dalla crisi americana del 2008.

Sono misure eccezionali in termini quantitativi ma soprattutto non convenzionali, che travolgono le logiche tradizionali. Anche l’emergenza sanitaria in corso, che ha indotto i governi ad assumere misure precauzionali a tutela della salute dei cittadini, ha determinato un crollo violento delle attività economiche, cui si cerca di porre rimedio con una nuova ondata di decisioni che hanno profonde ricadute anche sul settore bancario.

È stato lo stesso governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, nel suo recentissimo intervento intitolato “Le istituzioni finanziarie francesi davanti alla crisi” a fornire uno spaccato di quanto sia complessa la realtà: nei primi nove mesi del 2020, il risultato aggregato della gestione dei primi quattro gruppi bancari francesi è stato pari ad appena 11 miliardi di euro, con una caduta del 39% rispetto allo stesso periodo del 2019. Ciò è derivato dal raddoppio del costo del rischio sugli impieghi, mentre dal punto di vista delle risorse c’è stata una brusca riduzione delle attività di assicurazione e di gestione degli attivi.

All’opposto, nello stesso periodo, “la banca di investimento e di finanziamento” ha resistito assai bene, aumentando i propri proventi del 3%. Ecco, dunque, perché “c’è banca e banca”. Ciò emerge anche dal Bollettino di novembre-dicembre 2020 della Banca di Francia, in cui si analizza l’evoluzione del sistema bancario francese tra il 2008 e il 2019. C’è stata una contrazione del margine di intermediazione, derivante dall’abbassamento dei tassi di riferimento decisi dalle autorità monetarie, che non è stata compensata dall’aumento del volume del credito erogato.

C’è poi un altro elemento: mentre tra il 2011 e il 2019 il valore del risultato netto contabile (Rnc) del sistema bancario francese è triplicato, passando in positivo da 10 a 29,6 miliardi di euro, il dato relativo alla funzione di finanziamento dell’economia svolta dal settore bancario è invece crollato, passando da un valore positivo di circa 17 miliardi di euro nel 2011 a uno negativo di 6,9 miliardi nel 2019. Lo scarto tra la crescita del valore netto contabile della gestione e l’andamento negativo della funzione di finanziamento (capacità+/fabbisogno-) è stato determinato per un verso dalla distribuzione di dividendi, ma soprattutto dall’andamento negativo delle operazioni in titoli e derivati.

I profitti e le perdite di tale gestione sono infatti contabilizzati nei conti finanziari delle banche e non tra le poste gestionali, da cui deriva il Rnc, tra cui vengono registrate le perdite sui prestiti erogati. Assieme alla contrazione del margine di intermediazione, vicenda comune a tutte le banche europee per via delle decisioni della Bce, in Francia è dal 2014 che il valore aggiunto prodotto dal settore bancario è in calo. Ciò deriva dal fatto che le commissioni percepite sono aumentate ad un ritmo inferiore rispetto a quello dei costi di produzione: in media, le prime dell’1,8% l’anno rispetto al 2% dei secondi.

Questo dato, che si è riflesso negativamente anche sulla dinamica del Pil, è stato probabilmente determinato dai minori tagli effettuati in termini di agenzie chiuse e personale licenziato. Sono da valutare, a questo punto, le prospettive circa le perdite che deriveranno alle banche francesi a causa della crisi economica in corso: i crediti all’economia che sono stati finora erogati con la garanzia dello Stato, soprattutto alle PMI, sono arrivati a 125 miliardi di euro, una cifra che il governatore Villeroy de Galhau ha dichiarato essere pari al triplo di quella erogata in Germania.

Ecco, dunque, che “c’è moneta e moneta”: ai proventi tradizionali di quella “bancaria” – che derivano dall’esercizio del credito – e di quella “finanziaria” – che derivano dalle operazioni sui mercati e sui derivati – si aggiungeranno presto quelli di provenienza “pubblica”, che derivano dalle garanzie statali che azzerano il costo del rischio degli affidamenti.

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