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Bisogna rassegnarsi alla guerra Nato-Russia? | L’analisi di Stefano Mannoni, professore alla facoltà di Giurisprudenza di Firenze

La polemica di Matteo Salvini con Emmanuel Macron sul coinvolgimento della Nato nella guerra in Ucraina sarà stata pure rozza e sopra le righe.

Ma dopo avere assistito al tripudio bellicista innescato dalle celebrazioni del D-Day bisogna concedergli di avere toccato un nervo scoperto.

Se infatti la guerra con la Russia è un evento inesorabile al quale dobbiamo piamente rassegnarci, sorge spontanea la domanda su come sia stato possibile spingersi fino a questo punto di non ritorno.

La risposta giunge puntuale e documentata da uno studioso di vaglia dell’Europa orientale, Richard Sakwa, che ha dato alle stampe un libro dal titolo emblematico: The Lost Peace.

How the West Failed to Prevent a Second Cold War (Yale).

E la tesi del libro è proprio questa.

Nel 1989 l’Occidente ha vinto la guerra, perdendo la pace esattamente come era accaduto nel 1919 con l’infausto Trattato di Versailles.

L’arroganza del liberal-internazionalismo americano, fatta di omaggi formali alle Nazioni Unite e di spregiudicata politica egemonica, ha sprecato in più occasioni l’opportunità di costruire un ordine globale di cui facesse parte anche la Russia.

Eppure gli avvertimenti a non usare l’espansione a Est della Nato per mettere alle corde e umiliare Mosca erano stati numerosi e autorevolissimi: purtroppo tutti ignorati.

La rivendicazione russa di un ordine internazionale indivisibile, di cui essa stessa fosse protagonista integrante, è stata irrisa, nel bel mentre lo stesso sistema delle Nazioni Uniti veniva rimpiazzato da una macchina da guerra regionale imperniata su Washington e i suoi volenterosi vassalli.

L’adesione alla Nato era aperta a tutti tranne che a Mosca.

Eppure l’autore, badate bene, è uno studioso serissimo senza nessun pregiudizio antiamericano.

Si limita a snocciolare i fatti che, sfortunatamente, conducono tutti diritti alla escalation militare che ha avuto come attore, quasi involontario però, la Russia.

Di cui gli occidentali dicono: non sarà mai un partner affidabile fino a quando non abdicherà al suo autoritarismo interno e abbraccerà i valori e l’ideologia dell’egemone atlantismo.

Fino a quel momento va contenuta, combattuta e indebolita, l’Ucraina rappresentando il terreno ideale per erodere e anzi assestare il colpo di grazia finale alle sue pretese di grande potenza.

Ma lo Heartland dell’Eurasia, bisognerebbe ricordarlo, non presenta confini naturali.

I russi, esclusi dal club della Nato, sanno solo di condividere ben 1.974 chilometri di fronte del tutto aperto con l’Ucraina.

E che questo li rende nervosi, fino al punto di considerare l’incorporazione di Kiev nell’alleanza atlantica una minaccia esistenziale, non è poi così sorprendente.

E per motivi di spazio tralascio le pure stimolanti riflessioni che l’autore svolge sulla Cina, anch’essa capita più che demonizzata per partito preso.

Proviamo a tirare le conclusioni del discorso.

Invece di continuare a gettare benzina sul fuoco non sarebbe giunto il momento di negoziare la pace e di riprendere a dialogare coi russi? Tenuto conto che tra i critici dell’allargamento della Nato a est figura anche l’attuale influente direttore della Cia William Burns, non disperiamo che un po’ di ragionevolezza

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