La polemica di Matteo Salvini con Emmanuel Macron sul coinvolgimento della Nato nella guerra in Ucraina sarà stata pure rozza e sopra le righe.
Ma dopo avere assistito al tripudio bellicista innescato dalle celebrazioni del D-Day bisogna concedergli di avere toccato un nervo scoperto.
Se infatti la guerra con la Russia è un evento inesorabile al quale dobbiamo piamente rassegnarci, sorge spontanea la domanda su come sia stato possibile spingersi fino a questo punto di non ritorno.
La risposta giunge puntuale e documentata da uno studioso di vaglia dell’Europa orientale, Richard Sakwa, che ha dato alle stampe un libro dal titolo emblematico: The Lost Peace.
How the West Failed to Prevent a Second Cold War (Yale).
E la tesi del libro è proprio questa.
Nel 1989 l’Occidente ha vinto la guerra, perdendo la pace esattamente come era accaduto nel 1919 con l’infausto Trattato di Versailles.
L’arroganza del liberal-internazionalismo americano, fatta di omaggi formali alle Nazioni Unite e di spregiudicata politica egemonica, ha sprecato in più occasioni l’opportunità di costruire un ordine globale di cui facesse parte anche la Russia.
Eppure gli avvertimenti a non usare l’espansione a Est della Nato per mettere alle corde e umiliare Mosca erano stati numerosi e autorevolissimi: purtroppo tutti ignorati.
La rivendicazione russa di un ordine internazionale indivisibile, di cui essa stessa fosse protagonista integrante, è stata irrisa, nel bel mentre lo stesso sistema delle Nazioni Uniti veniva rimpiazzato da una macchina da guerra regionale imperniata su Washington e i suoi volenterosi vassalli.
L’adesione alla Nato era aperta a tutti tranne che a Mosca.
Eppure l’autore, badate bene, è uno studioso serissimo senza nessun pregiudizio antiamericano.
Si limita a snocciolare i fatti che, sfortunatamente, conducono tutti diritti alla escalation militare che ha avuto come attore, quasi involontario però, la Russia.
Di cui gli occidentali dicono: non sarà mai un partner affidabile fino a quando non abdicherà al suo autoritarismo interno e abbraccerà i valori e l’ideologia dell’egemone atlantismo.
Fino a quel momento va contenuta, combattuta e indebolita, l’Ucraina rappresentando il terreno ideale per erodere e anzi assestare il colpo di grazia finale alle sue pretese di grande potenza.
Ma lo Heartland dell’Eurasia, bisognerebbe ricordarlo, non presenta confini naturali.
I russi, esclusi dal club della Nato, sanno solo di condividere ben 1.974 chilometri di fronte del tutto aperto con l’Ucraina.
E che questo li rende nervosi, fino al punto di considerare l’incorporazione di Kiev nell’alleanza atlantica una minaccia esistenziale, non è poi così sorprendente.
E per motivi di spazio tralascio le pure stimolanti riflessioni che l’autore svolge sulla Cina, anch’essa capita più che demonizzata per partito preso.
Proviamo a tirare le conclusioni del discorso.
Invece di continuare a gettare benzina sul fuoco non sarebbe giunto il momento di negoziare la pace e di riprendere a dialogare coi russi? Tenuto conto che tra i critici dell’allargamento della Nato a est figura anche l’attuale influente direttore della Cia William Burns, non disperiamo che un po’ di ragionevolezza