In esclusiva per l’Osservatorio Riparte l’Italia Benedetta Cosmi ha intervistato il Presidente di Museimpresa, Antonio Calabrò, (anche Senior Vice President Pirelli per la Cultura e Direttore della Fondazione Pirelli), uno degli ospiti al decimo appuntamento del Laboratorio Eurispes sul Capitale umano.
Calabrò ha sottolineato l’importanza delle filiere e delle reti, affermando: “Credo nel sistema delle convenienze e delle opportunità, partendo dalla parola competitività, che evoca un progetto comune”.
Ovvero ha evidenziato la “responsabilità delle grandi imprese nel garantire pratiche etiche lungo la catena di fornitura”.
“I sistemi di welfare di territorio, i rapporti tra piccole, medie e grandi stanno dentro una convergenza di interessi economici, di progetti economici, lungo le catene di fornitura, lungo le filiere. Ritengo che il ragionamento vada fatto sulle filiere e sulle reti”.
“Convenienza delle grandi aziende è che le piccole, con le loro fornitura siano, ad esempio, perfettamente in regola con le logiche, con i valori, con le prescrizioni della sostenibilità. Perché io devo essere in grado di poter certificare la mia catena di produzione, lo chiedono i mercati, lo chiede buona parte della finanza”.
“Responsabilità delle grandi imprese è imprimere una serie di stimoli per poter crescere sia sul versante della transizione della sostenibilità sia ambientale, sociale sia sul versante della transizione digitale”.
“Tutti i fornitori piccoli, grandi e medi, non posso avere il meglio del made in Italy, se ci sono le ombre del sottoscala, della subcoltura, per essere espliciti (sembra anche un riferimento all’attualità recentissima ma purtroppo è attualità permanente n.d.r.)”.
“Dentro la mia catena di fornitura io grande azienda ho uno straordinario interesse su un valore che è quello della sicurezza sul lavoro, ora i dati sulla sicurezza del lavoro qui non sono confortanti. Penso al disastro in Emilia, e credo che sia interesse delle piccole imprese uscire fuori dalla percezione del sommerso, dalla percezione del nero, dalla percezione di irregolarità e non soltanto perché ci sono leggi da rispettare e valori da rispettare.
Il lavoro è un valore, il lavoro è una dignità, ha ragione il presidente della Repubblica Mattarella quando seguendo l’onda dei presidenti precedenti (penso alle parole in passato pronunciate da Ciampi o da Napolitano) ribadisce il concetto di lavoro come dignità, lavoro come sicurezza, sulla qualità come elemento fondamentale della catena produttiva”.
“In Italia dobbiamo fare cose belle che piacciono al mondo, in modo sicuro, in modo trasparente”.
“Non puoi avere il “su misura”, la qualità, il design, la bellezza, l’innovazione se dietro c’è della morte, della ferita, della frattura”.
“E questo è un punto fondamentale che riguarda tutta l’intera filiera”.
“Le grandi aziende, in questo, hanno una straordinaria responsabilità”.
“Ci sono grandi imprese – penso alla Ima di Vacchi in Emilia – che assumono partecipazioni lungo tutta la catena di fornitura perché da azionisti ne controllano il processo. Non so se sia il sistema migliore ma è sicuramente di grande interesse. In ogni caso il meccanismo di certificazione, anche rispetto alla finanza, rispetto all’ingresso nel capitale, da parte dei fondi di investimento, ha molto a che fare con la certificazione della qualità, del rispetto dei principi etici, che riguardano l’ambiente, che riguardano il dato sociale, che riguardano la governance”.
“La seconda osservazione che vorrei fare ha a che fare col passaggio generazionale, tema molto complesso”.
“Io so bene come, per chi ha fondato un’impresa, quell’impresa sia parte essenziale di sé, sia un pezzo fondamentale della propria identità e questo è un vantaggio enorme del capitalismo familiare, con un senso della storia”.
“Nel capitalismo manageriale invece si entra in azienda, si fanno dei percorsi e si esce”.
“Il capitalismo familiare guarda al progetto di lungo periodo, nel corso della storia.
Il meglio che questo Paese possa esprimere è l’innesto del capitalismo familiare azionario, con la capacità di gestione manageriale delle competenze che vengono messe in campo prendendole là dove il mercato le offre”.
“Penso a una lunga serie di imprese come Zambon farmaceutica per dirne soltanto una, ma ne potrei elencare un’infinità; so che questo snodo della managerialità è un problema aperto per le imprese artigianali, per le piccole e le piccolissime”.
“Si potrebbe però pensare a figure di competenze manageriali consortili, a export manager per 10 imprese dello stesso territorio, sui territori produttivi ci sono parecchie realtà del genere, non moltissime”.
“Il passaggio generazionale ha bisogno di formazione e ha bisogno di finanza, altrimenti non passa di mano, l’azienda non si trasforma, anche perché ci vogliono anni, non ha i capitali per poter liquidare membri della famiglia che volentieri uscirebbero, perché fanno altri mestieri: chi il medico o chi ha aperto un negozio, oppure insegna all’università, oppure ha un villaggio turistico oppure sono impiegati in un’altra realtà”.
“I soci devono poter essere liquidati: l’ingresso di finanza dentro le piccole imprese, anche le piccole imprese artigiane hanno bisogno di avere una cultura aperta, quella della dialettica, del confronto, della trasparenza, da parte delle imprenditrici e imprenditori, fondatori. Ecco questi sono i temi che abbiamo davanti”.
“Io credo che ragionare di politica industriale non significhi soltanto ragionare in termini di fiscalità.
Bisogna ragionare pure di cultura d’impresa”.