Che in Italia e in Europa vi sia la necessità condivisa di migliorare l’efficienza energetica degli edifici e delle abitazioni è un fatto.
Da noi, fin dal 2006, la legge 296 ha previsto detrazioni fiscali del 55% della spesa sostenuta per interventi di risparmio energetico nel patrimonio immobiliare.
Nel 2013 lo sgravio è stato aumentato fino al 65% (75% sulle parti comuni dei condomini).
A oggi sono stati 5,5 milioni gli interventi rientranti nell’Ecobonus, per oltre 53 miliardi di investimenti, con un risparmio complessivo che supera i 22.600 gigawattora l’anno, secondo il Rapporto Enea del 2022.
I lavori hanno riguardato soprattutto la sostituzione degli infissi, l’installazione di caldaie a condensazione e pompe di calore, le schermature solari.
Con il decreto Rilancio del 2020, si legge sul Corriere della Sera, il governo Conte ha introdotto il Superbonus del 110% che copre anche gli interventi di riqualificazione energetica, vincolandoli però al miglioramento di almeno due classi.
Al 28 febbraio 2023, sempre secondo il monitoraggio Enea, il costo totale a carico dello Stato, fra condomini e edifici unifamiliari, è stato di ben 75,4 miliardi di euro.
Una spesa enorme per l’erario a fronte di un numero di asseverazioni di lavori limitato: poco più di 384 mila finora, pari all’1,1% dei 35milioni di unità immobiliari residenziali censite in Italia, o al 3,2%, se si considerano gli oltre 12 milioni di edifici.
Nonostante tutti questi incentivi, secondo Ance, in Italia circa il 35% degli immobili risulta in classe G, e il 25% in F.
Un problema che, in proporzioni diverse, riguarda tutti gli Stati membri.
Su questo scenario interviene la direttiva europea sul miglioramento della prestazione energetica degli edifici.
Sulla proposta della commissione Ue è stato approvato dalla competente commissione del Parlamento un testo con numerosi emendamenti che da un lato accelerano i tempi e dall’altro danno più flessibilità agli Stati membri nell’attuazione delle disposizioni.
Ieri anche l’aula ha dato l’ok, e nelle prossime settimane partirà il negoziato (Commissione, Parlamento, Consiglio) per arrivare alla direttiva finale.
Se venisse approvata definitivamente quest’anno, gli Stati membri avrebbero tempo fino al 2025 per recepirla.
Il governo italiano si prepara a dare battaglia perché sostiene che le nuove regole imporrebbero costi insostenibili.
Il testo prevede, per gli immobili residenziali, il raggiungimento della classe energetica E entro il primo gennaio 2030 e della classe D entro il primo gennaio 2033.
Al momento però ogni Paese ha la propria di classificazione e un criterio unico valido per tutti verrà definito in sede di negoziazione.
Dopodiché ogni Stato dovrebbe procedere così: rifare la classificazione energetica degli edifici, partendo dalla peggiore, la G, fino alla A4 (zero emissioni).
Sappiamo da ora che però sono esentati gli alloggi sociali di proprietà pubblica, gli edifici ufficialmente vincolati per il loro valore architettonico o storico, gli immobili utilizzati per meno di 4 mesi all’anno, quelli indipendenti con una superficie totale inferiore a 50 metri quadrati.
Inoltre, i singoli Paesi potranno chiedere alla commissione Ue di esentare dagli obblighi fino al 22% di tutti gli edifici residenziali e di prolungare la scadenza al gennaio 2037 per ragioni economiche e per la indisponibilità di forza lavoro qualificata.
Il nostro governo, dunque, potrebbe inizialmente restringere parecchio la platea degli edifici.
La proposta di direttiva, spiega il vicedirettore dell’Ance Romain Bocognani, che sta seguendo questa partita dall’inizio, in realtà prevede in questa prima fase l’obbligo di intervenire solo per il 15% degli edifici più inquinanti.
Tradotti in numero, e supponendo che il criterio di classificazione europeo non si discosti dal nostro, nella classe G dovrebbero finire fra gli 1,4 e 1,8 milioni di edifici suddivisi più o meno a metà tra condomini e unità unifamiliari.
Per queste case dovrebbero essere disposti lavori di efficientamento in grado di raggiungere la classe E nel 2030 e la classe D nel 2033.
Se si partisse l’anno prossimo, ipotesi molto ottimista, dice l’Ance, bisognerebbe dunque ristrutturare dai 140 mila ai 180 mila edifici l’anno per dieci anni.
Si può dire che non tutti gli interventi richiedono il cappotto termico, ma non c’è dubbio che il primo problema è quello del rispetto dei tempi.
Serve un esercito di muratori, idraulici, elettricisti, falegnami, che non ci sono, e quei pochi si fanno pagare a peso d’oro.
Colpa di un sistema formativo delle scuole professionali, delle imprese, di Confindustria che non è stato lungimirante.
Il secondo problema è quello dei costi.
Il governo dovrebbe sostenere fiscalmente anche i nuovi interventi previsti dalla direttiva proprio mentre fatica a chiudere il rubinetto del Superbonus, costato finora più del doppio del previsto.
E anche gli interventi per prendere il Superbonus richiedono il salto di due classi e hanno un costo medio di circa 600mila euro per i condomini e 114mila euro per le abitazioni unifamiliari.
Il terzo problema riguarda la presunta svalutazione delle case che, secondo gli oppositori della direttiva, sarebbe conseguenza delle nuove regole europee.
Gli operatori del mercato sostengono che oggi, a parità di anno di costruzione e di superficie, un immobile di classe A vale almeno il 30% in più di uno di classe G.
Quindi l’efficientamento in realtà ha tre vantaggi: valorizza l’immobile, più della metà dei costi sostenuti possono essere detratti dalla dichiarazione Irpef in dieci anni, un risparmio sulle bollette dal 20 al 50%.