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Il contratto di rete tra imprese è la chiave per superare la crisi

Shock di offerta (determinato dal fermo produttivo) e shock di domanda, ossia la rapida contrazione dei consumi e degli investimenti, stanno caratterizzando questa difficile fase, di talché la strategia per la ripresa non può obliterare la fitta rete di relazioni collaborative all’interno delle filiere produttive, al fine di combattere due contrapposte perturbazioni: un ripple effect, da monte verso valle, atteso che talune limitazioni alle attività si protrarranno nei prossimi mesi e un bullwhip effect, da valle verso monte, determinato da una domanda in ripresa, ma ancora incerta e volatile, quindi difficilmente prevedibile ex ante nel suo articolarsi.

In quest’ottica – e si tratta di una circostanza rilevata, a più voci, dai protagonisti dei più svariati comparti economici e produttivi del Paese – quella forza centrifuga che negli ultimi decenni ha spinto verso la massima globalizzazione andrà verosimilmente incontro a mutamenti di rotta (almeno parziali) verso un nuovo modello di globalizzazione, che potremmo definire slow, consapevole dell’importanza delle risorse locali ed improntato alla valorizzazione delle stesse. La caratteristica vincente delle filiere produttive sarà la capacità di intercettare i segnali del cambiamento e di rispondere ad essi in modo rapido, riconfigurando processi e modalità operative.

Occorre ripensare al modo di fare impresa, anche attraverso l’innesco di processi di «alleanza» idonei a dar vita a realtà economiche che, in una prospettiva che sappia guardare in modo omogeneo all’intero territorio italiano, siano in grado di assecondare bisogni e interessi così come verranno atteggiandosi alla luce dell’«esperienza crisi».

Uno strumento giuridico particolarmente efficace, attraverso il quale promuovere efficientemente la complementarietà tra le diverse imprese di un’unica filiera, ovvero tra imprese facenti parte della medesima realtà economico-produttiva – come ad esempio, per citarne due che, al pari di tante altre, rischiano di essere “messe al tappeto” dal COVID-19, il turismo e la moda – è rappresentato dal contratto di rete, attualmente disciplinato dall’art. 3, d.l. n. 5/2009 (convertito dalla legge n. 33/2009 e modificato, da ultimo, dal d.l. 179/2012, convertito dalla l. 221/2012). Si tratta di una figura che a suo tempo fu concepita – da cui una certa congenialità rispetto a quanto stiamo attualmente vivendo – al fine di introdurre, tra l’altro, «misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi», in termini di «premialità» e di «supporto all’emergenza».

La duttilità del contratto di rete consente, tenendo conto dei mutamenti delle realtà economiche di riferimento, di dar vita a forme organizzative diversificate, non necessariamente collegate alle normali logiche di profitto della singola impresa, bensì proiettate al conseguimento di risultati ottenibili solamente all’esito di una esecuzione protratta nel tempo (dunque antitetica a quella precipuamente egoistica – in tempi di crisi difficilmente sostenibile – finalizzata al mero advantage-taking, in tempi immediati). Permette al tempo stesso di graduare (in termini qualitativi e quantitativi) l’intensità della collaborazione, la quale comunque assurge a imprescindibile denominatore comune del «modello contrattuale».

Collaborazione, aggregazione, unione, integrazione, possono divenire parole chiave ai fini del rilancio ed estrinsecarsi, per l’appunto, attraverso il sistema rete (tra imprese, ma non soltanto), secondo una logica che può essere sia verticale (c.d. della filiera), sia orizzontale.

Lo strumento del contratto di rete si presta a supportare la collaborazione tra imprese anche in ragione della sua flessibilità, da realizzarsi attraverso gli «obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti», obiettivi rimessi all’autonomia dei partecipanti, ai quali è rimessa altresì la definizione di un «programma di rete» che contenga l’elencazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, nonché dello «scopo comune» dell’iniziativa.

Oltre agli indubbi vantaggi sul piano strategico – in termini, per citarne alcuni, di accesso alle informazioni e a nuovi mercati, di efficienza, di scambio di know-how e di riduzione dei tempi e dei rischi in capo a ciascun soggetto – se ne rinvengono taluni in materia di gestione del lavoro: ai fini del «distacco di personale» tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa, l’interesse della parte distaccante si dà, invero, per presupposto (cfr. comma 4 ter dell’art. 30, d.lgs. 276/2003, introdotto nel 2013) ed è, inoltre, ammessa la co-datorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.

La creazione della rete offre benefici anche dal punto di vista finanziario, in quanto determina un incremento del rating, da cui direttamente dipende la capacità di accesso al credito. Proprio con riferimento all’accesso al credito e nell’ottica dell’incentivazione del ricorso alla collaborazione attraverso il contratto di rete, potrebbe essere opportuno intervenire legislativamente con misure, ulteriori e più intense, rispetto a quelle di cui agli artt. 1 e 13 del d.l. 23/2020, per il sostegno della liquidità delle imprese che aderiscano a tale forma di collaborazione.

Sempre in una prospettiva di intervento legislativo, potrebbe costituire elemento particolarmente incentivante il recupero dei vantaggi fiscali già previsti, pur se solo per i periodi di imposta 2010, 2011 e 2012, dal d.l. 78/2010: in altri termini, si potrebbe prevedere un regime di sospensione di imposta relativo agli utili d’esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune di rete, i quali, nel caso di specie, potrebbero essere connotati, dal punto di vista teleologico, nell’ottica del superamento della crisi determinata dal COVID-19. Il che consentirebbe una diminuzione della base imponibile del reddito di impresa relativo al periodo di imposta cui si riferiscono gli utili accantonati, concorrendo gli stessi a formare il reddito solamente se e quando la riserva sia utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio ovvero qualora venisse meno l’adesione al contratto di rete.

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