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L’impresa impossibile del governo sulla scuola: nel Pnrr c’è anche la riforma del reclutamento degli insegnanti

Una nuova (ma difficile temporalmente) riforma del reclutamento degli insegnanti. Se ne parla da anni, si arriva sempre a ridosso del nuovo anno scolastico, e ogni volta pare un’utopia per i tempi stretti. Ma questa volta potrebbe essere la volta buona. La riforma infatti risulta già inserita nel Pnrr, già inviato dal governo a Bruxelles, dettagliatamente riportata nelle schede allegate al testo principale.

Il nuovo meccanismo dovrà diventare operativo nel 2022 ed è destinato ad accompagnare i programmi di spesa che in materia di istruzione attingono a risorse europee per quasi 20 miliardi, mentre attualmente il governo è impegnato in una corsa contro il tempo per garantire l’avvio del prossimo anno scolastico, con una nuova massiccia regolarizzazione di precari. La riforma, secondo Il Messaggero, permetterebbe di superare definitivamente proprio il sistema per cui sulle cattedre si alternano insegnanti precari, ridando smalto alla professione del docente, in modo da renderla più attrattiva per i neo-laureati come obiettivo professionale e non come ripiego in particolare nelle aree del Paese in cui mancano altre occasioni di lavoro. Senza considerare anche il cronico squilibrio territoriale tra Nord e Sud, anche in questo ambito.

Come si legge nel testo del governo, dove si legge che «l’incremento della qualità punta a garantire agli studenti un adeguato accesso alla conoscenza» e che questa sfida richiede «il superamento della vecchia figura del docente che si è formata negli anni 70-80» per passare a quella «presente nelle migliori pratiche dell’Unione europea». Alla base del reclutamento, si punta a semplificare le procedure puntando sulla formazione degli insegnanti per tutta la durata della carriera, con la definizione di graduatorie basate sia sui titoli dei candidati sia sul risultato di una prova di concorso svolta in forma digitale, come quelle che si stanno sperimentando in altri ambiti della pubblica amministrazione. Da questi elenchi poi si attingerà per la copertura di tutti i posti vacanti, distinguendo tra i vincitori (provvisori), che verrebbero assegnati alle scuole per un anno di prova, come già avviene ora, ma che diventerebbe decisivo per chi vuole ottenere un contratto stabile. Il successo di questo secondo test non implica un miglioramento della posizione in graduatoria, perché il neo-docente avrebbe il vincolo di rimanere nella stessa scuola per almeno tre anni. Il punto-chiave è che a gestire la selezione sarà la scuola stessa, che in questa logica avrebbe interesse a trattenere gli insegnanti più bravi per gli anni successivi e simmetricamente a non confermare quelli la cui prestazione è stata giudicata meno valida.

L’auspicio è quindi quello di permettere agli istituti scolastici di attingere alle graduatorie di coloro che hanno già superato il concorso semplificato per coprire le sostituzioni annuali, per poi stabilizzare le loro posizioni al termine dell’anno di prova. Il governo sottolinea come la selezione verrebbe portata avanti non solo sulla base delle conoscenze, ma anche dalla capacità di insegnamento e di relazione con ragazzi e genitori. Il piano prevede anche di rivedere l’attuale meccanismo dei crediti formativi per le discipline psico-pedagogiche e i metodi di insegnamento. Questo per garantire la qualità ed evitare che l’acquisizione dipenda solo dal pagamento dei relativi corsi. 

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