Le autorità monetarie sono pronte all’euro digitale?
I problemi che sollevano e ritardano la digitalizzazione dell’euro e delle attività finanziarie (tokenizzazione) sono in parte creati da un uso equivoco di queste qualificazioni, facilmente superabile; altri aspetti, invece, come i rischi di esclusione tra gli utenti e la sicurezza delle scritture contabili, richiedono una specifica e attenta considerazione delle strutture contabili usate e delle conseguenze sull’architettura di vigilanza del mercato.
Si afferma che l’euro digitale richiede tempo e cautele per essere messo in circolazione, sorvolando sul fatto che esso già esiste, dato che lo hanno tutti coloro che possiedono un deposito bancario; questo euro ha il vantaggio di consentire a chi non sa usare una carta di credito o un bancomat di recarsi in banca e farsi dare moneta cartacea; se si intende eliminare questa forma di moneta – come si sostiene anche a livello ufficiale – il nuovo euro va definito in modo diverso della qualifica ‘digitale’, per evitare confusione.
Già in passato nacque un equivoco sull’origine della moneta che il Nobel per l’economia Milton Friedman ha proposto di eliminare distinguendo tra base monetaria (o moneta ad alto potenziale), ossia la moneta di Banca centrale, e la moneta di banca ordinaria, la cui somma crea quella chiamata con il simbolo M2 nei testi di economia.
Anche le attività finanziarie sono già digitalizzate da quando ha cessato la loro cartolarizzazione per testimoniarne l’esistenza, ma per esse si è evitato l’equivoco ricorrendo al termine tokenizzazione.
Il vero problema, che non emerge nelle dichiarazioni ufficiali e nel dibattito pubblico, è se si intende uscire dalla contabilità digitale accentrata per muovere verso quelle decentrate, o si ritiene sufficiente introdurre forme nuove per mantenere la contabilità esistente.
La decentralizzazione si è affermata sul mercato dalla nascita dei Bitcoin nelle forme Blockchain (a blocchi concatenati), e, di seguito, in quelle Dlt (a registro distribuito); entrambi mettono a diretto contatto gli operatori di mercato, registrando i loro possessi e scambi su computer/server che operano in modo indipendente dagli attuali tenutari di contabilità accentrate.
Dietro le quinte dei ritardi nell’attuazione del nuovo euro e delle tokenizzazioni agiscono incertezze sull’utilità e opportunità di questo mutamento contabile per i problemi che crea, ai quali si aggiungono la vulnerabilità agli attacchi esterni del meccanismo decentrato (meno per la blockchain e più per le Dlt), accrescendo il bisogno di cybersecurity, e la complessità di attuazione della riforma della vigilanza monetaria e finanziaria che esse implicano.
Se si scegliesse di restare nella contabilità digitale accentrata, sarebbe consigliabile mantenere una sola moneta ufficiale, quella di Banca centrale, e non si vede motivo per legittimare la nascita di nuove monete e nuove forme di finanza, perché il meccanismo di trasmissione delle scelte in materia si complicherebbe rendendolo più oscuro di quanto già non sia.
Se, invece, si volesse muovere verso la contabilità decentrata, i depositi bancari perderebbero la natura monetaria e la raccolta di tutti gli intermediari di risparmio rientrerebbe nell’alveo finanziario, con chiare implicazioni sull’architettura delle istituzioni di vigilanza.
Se, infine, per regolare questa nuova sezione del mercato, si provvede, come si va facendo, a creare un insieme autonomo di norme esterno ai Testi unici (Tub e Tuf), si crea una frammentazione legale che causa inconciliabilità interpretative e applicative per gli operatori e le autorità di vigilanza.
Per concludere, se le norme ideate per portare sotto controllo le innovazioni monetarie, come le cryptocurrency, e finanziarie, come le attività tokenizzate, sono varate, come viene sovente affermato, nell’intento di neutralità delle tecnologie contabili.
Si omette però di considerare che sono invece il vero problema da risolvere.