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[L’analisi] Il Financial Times: «Il governo Draghi può collassare dopo il voto per il Qurinale»

L’elezione per il Quirinale si sta dimostrando «disordinata e divisiva» e fa insorgere il rischio di «una crisi politica o che faccia deragliare i progressi sulle riforme preoccuperebbe seriamente Bruxelles e i mercati finanziari». Così il Financial Times descrive la corsa per il Colle, equiparandola a un «conclave papale»: ossia, non c’è alcun candidato formale, molteplici scrutini segreti e intense negoziazioni dietro le quinte.

E invece, ricorda Ft, Draghi ha dato una risposta che, per la classe politica italiana, era chiaramente un’offerta codificata di disponibilità. «Non ho aspirazioni particolari di un tipo o di un altro», aveva detto l’ex presidente della Banca Centrale Europea. «Sono un uomo, un nonno, al servizio delle istituzioni».

Secondo Ft, Draghi rappresenta per i politici italiani un vero dilemma: meglio mantenere il più celebrato tecnocrate del paese come primo ministro, permettendogli di andare avanti con un ambizioso programma di riforme finanziato dall’Ue, o elevarlo a Capo dello Stato, scatenando potenzialmente una crisi sulla sua successione a Palazzo Chigi? Deputati, senatori e rappresentanti regionali inizieranno a votare oggi, ricorda Ft, «sollevando l’ipotesi che il governo possa essere indebolito o addirittura collassare».

L’incertezza, si legge nell’editoriale, «ha rinnovato le ansie sulla capacità dell’Italia di attuare riforme difficili ma attese da tempo per migliorare le sue prospettive di crescita». Draghi, ricorda Ft, ha galvanizzato il sostegno trasversale per il piano di ripresa dell’Ue, ha guidato una prima serie di riforme attraverso il Parlamento e ha iniziato a tagliare la selva burocratica dell’Italia. Lo slancio delle riforme e la disciplina fiscale «potrebbe vacillare senza la sua leadership diretta, mettendo a rischio l’intero programma».

Non è solo l’opportunità unica dell’Italia per un rilancio economico ad essere in gioco. Ft ricorda che il nostro paese determinerà in larga misura il successo del fondo di ripresa dell’Ue da 750 miliardi di euro, di cui l’Italia è il maggior beneficiario. «Il successo del progetto europeo è – in qualche misura – in gioco», dice Ludovico Sapio, economista europeo di Barclays, la banca d’investimento. «Un’impasse politica o qualsiasi scenario che interrompa la continuità politica e indebolisca il processo di riforma avrebbe implicazioni negative non solo per l’Italia e la sostenibilità del debito italiano, ma anche per l’Europa nel suo complesso.

«Potrebbe essere pericoloso per le prospettive di un’ulteriore integrazione europea». Dal suo insediamento, evidenzia l’editoriale di Ft, Draghi ha riacceso la fiducia delle imprese e dei mercati grazie ad un’efficace campagna di vaccinazione contro il Covid e ai severi controlli, e ad un generoso stimolo fiscale per accelerare la ripresa economica. In altri termini, Draghi ha impegnato l’Italia in un ambizioso calendario per completare le difficili riforme strutturali e per rilanciare la sua traiettoria di crescita a lungo termine dopo decenni di stagnazione.

Questa leadership e l’ampio sostegno politico per il piano di rilancio dell’economia «hanno contribuito a dissipare le preoccupazioni di lunga data dei mercati finanziari e di Bruxelles sulla sostenibilità dei pesanti debiti dell’Italia, che ora superano il 150% del Pil». Secondo l’editoriale di Ft, quindi, «la reputazione internazionale di Draghi, il suo curriculum e l’impegno per il ruolo dell’Italia nell’Ue lo rendono un candidato ovvio per un mandato di sette anni come Capo di Stato» visto che si tratta di «un ruolo che non è solo cerimoniale ma prevede poteri reali, soprattutto in tempi di crisi e profonde divisioni politiche interne».

Dal Quirinale – il sontuoso palazzo presidenziale che una volta era la casa dei Papi e dei re italiani – «Draghi potrebbe usare il suo potere per supervisionare il governo e la sua autorità morale per assicurare che le future amministrazioni mantengano le riforme sulla strada giusta e per controllare gli impulsi politici populisti». Ma l’elezione di Draghi al Colle, ricorda il Ft, comporta il rischio reale che il suo governo di unità nazionale «possa crollare sulla questione di un successore premier per gestire il governo e portare avanti le riforme fino alle prossime elezioni generali, previste per il 2023».

«Questo, a sua volta, minaccia di spingere l’Italia verso elezioni anticipate, minando le prospettive di Roma di raggiungere gli obiettivi di riforma programmati dal cui raggiungimento dipende il continuo flusso di fondi di recupero dell’Ue». Ft riferisce che Bruxelles spera che lo slancio costruito dal governo Draghi «manterrà l’Italia sulla strada giusta».

L’unica preoccupazione, riferisce il Ft, è quella relativa alla disciplina fiscale, se il nuovo premier si dimostrasse incapace di resistere alla pressione dei partiti per assumere impegni di spesa e tagli alle tasse mentre le elezioni si avvicinano. Altri osservatori, più pessimisti, credono invece che la spinta riformatrice dell’Italia perderà quasi inevitabilmente slancio con l’avvicinarsi delle elezioni politiche.

Secondo il Ft, nel mondo degli affari italiano, sono in molti a sperare che Draghi raggiunga il Colle, in modo tale da «garantire il suo futuro coinvolgimento nella vita pubblica e rassicurare i mercati finanziari e i partner UE sulla direzione a lungo termine dell’Italia e questo nonostante i rischi di turbolenze a breve termine».

Come presidente della Repubblica, ricorda il Ft, Draghi avrebbe il potere di nominare i primi ministri, porre il veto alle nomine di gabinetto e rimandare la legislazione al parlamento per un riesame: si tratta di «strumenti potenti che potrebbero essere usati per impedire ai futuri governi populisti ed euroscettici di uscire dai binari e cercare di far avanzare il processo di riforma».

Per alcuni politici italiani, tuttavia, la prospettiva di una presidenza Draghi «più interventista» è una ragione per votare contro. Il Ft ricorda che «nei negoziati dietro le quinte, i politici stanno lottando per trovare una risoluzione. Né Matteo Salvini, leader della Lega di destra, né Enrico Letta del Partito Democratico di centro-sinistra hanno appoggiato pubblicamente la candidatura di Draghi».

Quindi, nell’editoriale si ricorda che il magnate dei media e quattro volte ex primo ministro Silvio Berlusconi, si era proposto come potenziale presidente ma «essendo una figura profondamente polarizzante la sua elezione avrebbe senza dubbio destabilizzato il governo»: quindi l’ex premier «si è ritirato invitando i sostenitori ad astenersi dal proporre il suo nome».

Gli analisti, riporta infine il Ft, ritengono che i leader politici stiano ora cercando di trovare «un individuo alternativo rispettato ma inoffensivo», il quale «possa essere spinto alla presidenza per garantire lo status quo e mantenere Draghi alla guida del governo». Altri sostengono che la soluzione più semplice è la rielezione del presidente in carica Mattarella, aprendo la strada all’elezione di Draghi ma è anche vero che «il presidente è contrario per principio a un secondo mandato».

Tuttavia, secondo altri analisti, «avendo espresso anche solo un cauto interesse per la presidenza, Draghi verrebbe sminuito in modo significativo se la coalizione di governo che guida dovesse ora rifiutarsi di votarlo al Colle». Riassume così Francesco Galietti, fondatore e CEO di Policy Sonar, una società di consulenza sui rischi politici: al Ft spiega che «il caso peggiore è che non ce la faccia e che continui a fare il premier: la sua magia svanirebbe, così come la sua aura da Dio. Sarebbe la fine di tutto».

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