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Ezio Mauro (la Repubblica): «Vi spiego perché quella di Putin è una guerra totale»

Su Repubblica Ezio Mauro si chiede se arriveremo davvero alla “guerra totale” in Ucraina. Putin – osserva Mauro – ha già dimostrato che i piani militari possono cambiare in base alle convenienze e alle necessità: e i suoi collaboratori incominciano ad ammettere che la resistenza del Paese invaso e occupato ha sorpreso il Cremlino, prigioniero della sua stessa propaganda con la falsa credenza degli ucraini pronti ad applaudire l’Armata russa liberatrice.

Anche il progetto di catturare, uccidere o mettere immediatamente in fuga Zelensky, per avere il trono di Kiev vacante e pronto per un governo fantoccio, per ora è saltato, come la morsa sulla capitale. Ma proprio gli insuccessi spingono Mosca ad alzare il tiro, in una sfida che è insieme locale e universale. E ha come posta addirittura la gerarchia del potere nel nuovo ordine mondiale.

Dunque l’annessione della Crimea e l’indipendenza delle due province del Donbass non bastano più. Serve un’umiliazione territoriale dell’Ucraina che sfiguri la sua autonomia sovrana e sancisca la resurrezione della supremazia russa, padrona per sempre della mitologia slava come fonte leggendaria, e di ogni sua eredità esclusiva.

I mezzi e i metodi sono irrilevanti, ci pensino i generali: la tattica è mobile, la missione è sacra. Perché quella che muove Putin alla guerra non è una nuova strategia, ma piuttosto l’ultima ideologia che entra in campo, inaugurando il secolo.

Quella decisa da Mosca infatti, secondo la teoria-ossessione che Putin coltiva e aggiorna ormai da quasi dieci anni, è una guerra preventiva nei confronti dell’Occidente. Noi siamo il nemico perpetuo, lo sfidante perenne, anche quando è in sonno: e siamo necessariamente l’appuntamento per lo scontro finale in cui la civiltà eurasiatica — guidata dalla Russia risorgente — regolerà infine i conti con la civiltà europea esausta, sfiancata dal regolamentarismo burocratico della democrazia che imbriglia la potestà del potere legittimo con mille lacci a lacciuoli, impedendo alla folgore del comando di rifulgere.

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