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Ecco perché il vaccino made in Italy Reithera rischia di non vedere mai la luce

Il vaccino anti Covid italiano rischia di non vedere mai la luce.

Conclusa la fase 2, la sperimentazione è allo stallo per mancanza di fondi (promessi tempo fa). Secondo quanto apprende l’AGI da fonti vicine al dossier, l’azienda biotech di Castel Romano, Reithera, che ha messo a punto il siero GRAd-COV2, ha ricevuto solo 13 milioni degli 89 milioni totali assicurati da Invitalia, Regione Lazio e Cnr.

Per poter affrontare la fase 2, come già previsto l’azienda ha anticipato i soldi, ma quei finanziamenti non sono mai arrivati. Nello specifico, 81 milioni erano stati promessi a gennaio da Invitalia, il cui AD è l’ex commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri.

Di questi, 41 erano a fondo perduto e 40 sotto forma di prestito. La Regione Lazio ha stanziato 5 milioni, il Cnr 3 milioni, mentre l’azienda ha messo sul tavolo 12 milioni. A giorni saranno comunicati i risultati della fase 2, che ha coinvolto 1.000 volontari in 25 centri ospedalieri italiani.

Dopo di che si potrebbe partire con la fase 3, che richiede il reclutamento di 10mila volontari, ma senza soldi – e molti – questa possibilità appare sempre più sfuocata. Ma dove sono finiti? Ufficialmente i fondi di Invitalia sono fermi per una questione burocratica, ovvero attendono l’ok della Corte dei conti.

Invitalia ribadisce all’AGI ciò che aveva già spiegato precedentemente in una nota, e cioè che non c’è nulla di strano nei tempi avendo stipulato un contratto di sviluppo.

Con Reithera – si spiegava nella nota – «è stato sottoscritto un Contratto di Sviluppo, un incentivo governativo da anni disponibile per sostenere gli investimenti produttivi e in ricerca e sviluppo delle aziende italiane che decidono di investire nel nostro Paese».

Il Contratto di Sviluppo è una procedura a sportello e finanzia le proposte inviate dalle aziende e ritenute meritevoli, secondo una procedura di legge: non è prevista, pertanto, né la pubblicazione di un bando né di una gara.

«La Commissione europea – proseguiva la nota – ha approvato il contributo fornito dallo Stato a Reithera giudicandolo compatibile con le norme sugli aiuti di Stato. La proposta di Reithera è stata ritenuta meritevole di essere finanziata dal governo e da Invitalia».

«L’investimento ha l’obiettivo non solo di supportare le fasi successive della sperimentazione del candidato vaccino ma anche di realizzare un sito produttivo sul nostro territorio che potrà essere, nel tempo, utilizzato per lo sviluppo e la produzione di farmaci».

L’azienda di biotech riceve periodicamente rassicurazioni sul destino di quei finanziamenti, ma intanto le casse restano vuote. Ma c’è un altro aspetto che ha portato il vaccino Reithera in cima alla cronaca recente. Tra i 26 centri coinvolti nella messa a punto del siero, l’Istituto per le malattie infettive di Roma, Lazzaro Spallanzani era il nome più altisonante.

Il coinvolgimento era tale che quello di Reithera era diventato per tutti “il vaccino dello Spallanzani”. Ma nella sperimentazione il nome dell’ospedale non compare. La spiegazione è che il nosocomio ha partecipato attraverso un “coordinating investigator”, e cioè una figura dello Spallanzani che ha contribuito alla redazione del protocollo, spiegano all’AGI fonti di Reithera.

Il fatto che poi lo Spallanzani «non abbia partecipato attivamente alla sperimentazione nel reclutamento dei volontari non ha avuto impatto sull’avanzamento del trial che è iniziato il 15 marzo 2021 e procede spedito».

Insomma, la sperimentazione potrebbe continuare anche senza lo Spallanzani, se ci fossero i fondi. Un condizionale che genera amarezza perché, sostengono fonti vicine alla sperimentazione, il vaccino funziona ed è un peccato mollare alla fase 3.

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