Le varie «buone notizie», tra la ripresa della economia italiana e i principali temi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza – digitalizzazione, transizione energetica, crescita della sostenibilità – sanno di «strano interludio».
Questa la prospettiva del sociologo Giuseppe de Rita.
«Sarà una fissazione professionale, ma è innegabile che ogni sviluppo cammina con le gambe dei suoi soggetti concreti, piccoli o grandi che siano» scrive sul Corriere della Sera. Ed in questa prospettiva viene naturale segnalare che mentre la più o meno vigorosa ripresa spontanea ha tanto protagonismo soggettuale, meno vitale sembra essere tale protagonismo nel processo attuativo del PNRR».
«Nell’ attuale dinamica spontanea di ripresa sembra evidente la presenza di tre grandi soggetti: anzitutto la forza alta delle filiere produttive che fanno export e presenza internazionale (la filiera enogastronomica, quella della produzione e manutenzione dei macchinari, quella del variegato mondo del Made in Italy), che ha retto bene alle difficoltà degli ultimi diciotto mesi e che torna silenziosamente a guadagnare spazi».
«Poi c’è la forza non raffinata ma potente dei soggetti dei vari servizi (dai ristoranti ai bed and breakfast, dalle botteghe artigiane ai gestori di impianti sportivi), che stanno esercitando il loro disperato furore di sopravvivere, quasi riuscendoci».
«Ed in terzo luogo (e soprattutto) c’ è la forza della grande ondata di nuova economia sommersa, fatta dal popolo che lavora in nero, senza fattura e senza scontrini, una forza ben conosciuta da chiunque fra noi abbia bisogno di un intervento di piccola e media dimensione».
«Chi ha vissuto gli anni 70 sa che buona parte della sopravvivenza italiana in quei drammatici anni fu garantita da una grande stagione economica sommersa, solo in seguito lentamente riassorbita; e rivede anche in questa ripresa del 2021 la primordiale potenza del sommerso (ha sconfitto anche il famoso cashback, strumento pensato contro l’uso del contante).
«La riassorbiremo anche stavolta o ci porteremo a lungo una componente di economia non coerente con i nostri canoni istituzionali, fiscali, sindacali? Per ora è importante immettere fiducia collettiva, e possiamo quindi contentarci del fatto che respiriamo vitalità nei soggetti più dinamici, raffinati o sommersi che siano. Più timore circola invece sull’ attuazione del PNRR, che rischia lenti passi in avanti per evidente carenza dei soggetti che dovrebbero applicarlo».
«Certo, non manca l’alta sua ispirazione innovativa, visto che sono stati tanti gli intellettuali ed i politici all’opera nel definire i traguardi da perseguire; ma i problemi cominciano quando si scende il primo gradino di responsabilità e ci si avvia sul piano delle amministrazioni statali che hanno faticato e faticano a fare articolazione dettagliata dei programmi e degli obiettivi. In loro supplenza sono state chiamate a dare una mano delle società di consulenza esterne che non sempre risultano attrezzate per i processi decisionali e procedurali necessari nella amministrazione pubblica».
«Ancora più drammatici si dimostrano i problemi attuativi quando si scende un ulteriore gradino: le amministrazioni ed i loro consulenti possono arrivare a determinare la distribuzione dei fondi per ogni specifico programma, ma poi quei fondi chi li spende in concreto?»
«Abbiamo già visto in precedenti esperienze che far fluire la responsabilità per i canali istituzionali discendenti (dallo Stato alle Regioni, ai Comuni e ad altri soggetti operanti sul territorio) non ha funzionato (si pensi alle tante dispersioni del Fondo Sociale Europeo); ed allora per disperazione si rilancia lo strumento del bando, chiamando a presentarsi chi ha idee, progetti, voglia di fare».
«Una strategia che certo serve a tranquillizzare chi non vuole esercitare la discrezionalità delle scelte, ma che purtroppo non riesce a portare frutti adeguati, perché i soggetti che potrebbero o dovrebbero presentare progetti non hanno di solito la capacità tecnica, organizzativa e finanziaria per elaborare proposte applicative precise. Certo ci saranno grandi imprese e grandi Comuni che potranno presentarsi come adeguati attuatori di segmenti di piano; ma il resto d’ Italia, quello dei medi e piccoli soggetti economici e istituzionali, rischia di non poter neppure accedere ai bandi, anche quelli che più stanno nel cuore dei traguardi ottimali da perseguire».
«Come si fa riconversione ecologica senza la vitalità soggettuale di Comuni, comunità montane, autorità di bacino? E come si sviluppa sostenibilità urbana senza una vitale responsabilità di aziende comunali, di utilities piccole e grandi, di associazioni di gestori dei servizi giornalieri? Rischiamo una povertà attuativa, se non un fallimento attuativo. E le colpe saranno attribuite a chi in basso non avrà saputo concretamente attuare. Ma non è detto che esse non risalgano i gradini che hanno visto la discesa troppo generica della decisionalità. Ci pensi chi sta in alto nella scala: il fallimento potrebbe essere ascritto anche a loro».
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