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Sergio De Nardis (economista): «Il mercato del lavoro è più dinamico di quanto pensiamo»

Secondo una ricerca di Bankitalia-Inps, «il mercato del lavoro è più dinamico di quanto pensiamo». A spiegarlo è l’economista Sergio De Nardis. «Grazie alla crescente disponibilità di nuove basi-dati, vengono meno alcuni stereotipi che hanno a lungo accompagnato il modo di rappresentare l’economia italiana. Uno di questi è l’immagine, ancora dominante in molte analisi, di un sistema tendenzialmente sclerotico a causa di rigidità di funzionamento del mercato del lavoro che frenano il ricambio produttivo. Un’osservazione che non sembra più così vera non solo per gli ultimi anni, quando si sono realizzate riforme volte ad aumentare la cosiddetta flessibilità in uscita (Jobs act e ammortizzatori), ma anche per il lontano passato (anni 80-90 dello scorso secolo) quando venivano giudicate insufficienti le politiche per incrementare solo quella in entrata (Treu, Biagi)».

«Anzi, dal punto di vista della mobilità osservata, non si direbbe che la riforma del 2016 si sia accompagnata a un salto apprezzabile rispetto al dinamismo che già contrassegnava la situazione precedente. Tutto ciò e molto altro è ricavabile da un interessante studio recente di un gruppo di ricercatori di Banca d’Italia e Inps, basato su preziosi dati amministrativi messi a disposizione dall’istituto previdenziale. In esso si mostra che tra il 1984 e il 2021 i tassi di creazione e distruzione dei posti di lavoro nelle imprese private non agricole sono risultati in linea con quelli dei Paesi avanzati, incluse le economie altamente flessibili come gli Usa», scrive sul magazine online InPiù.net.

«Inoltre, la riallocazione lorda (creazione + distruzione) è stata largamente eccedente quella che sarebbe stata giustificata dalla variazione delle posizioni lavorative. Una ricomposizione in eccesso – osservabile anche prima delle riforme di flessibilità in uscita – sintomatica di un dinamismo del sistema economico non inibito dal mercato del lavoro. Certo, con la pandemia e il congelamento del sistema produttivo queste misure sono diminuite, ma in linea con quanto rilevabile in molti Paesi europei (non negli Usa e in Uk che meno hanno fatto affidamento sulle misure volte alla sopravvivenza delle imprese). Tuttavia, già con la ripresa del 2021 i tassi di distruzione e, soprattutto, di creazione di posti di lavoro hanno ripreso a risalire».

«Al contrario dei tempi normali in cui è la riallocazione tra imprese dello stesso settore a prevalere, nella crisi del 2020 e nella ripresa del 2021 è quella intersettoriale a risultare determinante, venendo guidata dallo spostamento di posti verso i servizi di informazione e comunicazione (ad alta produttività) e, sulla spinta delle agevolazioni fiscali, verso le costruzioni (a bassa produttività). Questi fenomeni riflettono modifiche legate alla pandemia (smart working) e a scelte politiche di sostegno del ciclo il cui grado di persistenza nell’economia dovrà essere verificato. Inoltre, dopo il 2021, un nuovo shock si è abbattuto sul nostro Paese, foriero di ulteriori ricomposizioni di posti tra le imprese che andranno analizzate con dati aggiornati. L’evidenza dello studio, tuttavia, sembra inviare un messaggio chiaro: l’aggiustamento strutturale in Italia non incontra – e non ha incontrato nel passato – ostacoli nel mercato del lavoro».

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