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Bisogna imparare a convivere con il debito pubblico elevato (ma non troppo) | L’analisi di Andrea Boitani

Il paper “Living with high public debt” (Vivere con un elevato debito pubblico), di SarkanArslanalp (FMI) e Barry Eichengreen (Berkley), è stato presentato nel corso del meeting annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole (24-26 agosto). Che il debito pubblico rispetto al Pil sia cresciuto in tutto il mondo a livelli record dopo la grande crisi finanziaria (2008-09) e dopo il Covid (2020-21) è fatto noto e arcinote ne sono le ragioni.

I debiti pubblici – ci dicono Arslanalp e Eichengreen – non diminuiranno, perché grandi surplus primari non sono sostenibili per il tempo necessario, nelle attuali condizioni politiche; non sono immaginabili né un’inflazione (inattesa) sufficientemente persistente né una lunga e consistente repressione finanziaria; gli investimenti pubblici per la transizione ecologica e digitale e per la manutenzione delle infrastrutture e il loro adattamento ai cambiamenti climatici saranno ingenti e frontloaded; un aumento della pressione fiscale sembra inaccettabile e difficilmente si ripeteranno differenziali tra tassi di interesse e tassi di crescita così favorevoli come quelli che abbiamo avuto.

Nell’Eurozona il rapporto debito/Pil era oltre il 91% a fine 2022; 11 paesi su 19 avevano un debito superiore all’80% del Pil. Il debito di questi paesi rappresenta il 94,8% del debito totale dell’Eurozona (a fronte dell’86,4% del Pil). Se dovremo convivere con debiti alti, considerando anche la grande disponibilità di risorse finanziarie nei paesi sviluppati, mantenere l’obiettivo del 60% – come ha fatto la Commissione Europea nella sua proposta di riforma delle regole fiscali – potrebbe rivelarsi un grave errore.

L’ha fatto per vincere le resistenze politiche dei (sedicenti) “frugali”, ma rimane un segnale sbagliato ai mercati, proponendo un obiettivo irraggiungibile e perciò non credibile, mentre spinge paesi con debiti inferiori alla media dell’Eurozona (ma superiori al 60%) ad aggiustamenti di bilancio inopportuni, che darebbero un’intonazione eccessivamente restrittiva alla politica fiscale dell’area nel suo complesso. L’algebra e la logica ci dicono che porre un target del 90% sarebbe molto più ragionevole (e credibile) perché “morderebbe” solo per i paesi con debito a più alto rischio di divenire insostenibile.

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