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Una rendita enorme genera comportamenti problematici e inefficienti. Ecco com’è nato il caso Autostrade

Lo stallo sulla questione della concessione ad Autostrade per l’Italia di questi giorni è emblematico di una generalizzata difficoltà di decidere del governo.

Va però detto che la situazione molto difficile in cui ci troviamo oggi ha delle origini molto lontane ed è una storia esemplare del funzionamento dei nostri apparati burocratici.

Autostrade è stata privatizzata nel 1999. La leggenda vuole che la sua privatizzazione abbia in qualche maniera contribuito all’ingresso Il pacchetto di controllo fu rilevato da Schemaventotto, all’interno del quale la Edizione di Benetton era socio di gran lunga maggioritario.

La società venne privatizzata, vigente uno schema di tariffazione dal nome per molti allora oscuro, seppur utilizzato nel Regno Unito da vent’anni, il price cap. Va detto che la Delibera Cipe che istituiva lo schema tariffario era alquanto evasiva sulle modalità applicative.

Semplificando drasticamente, il price cap funziona grossomodo così.

Le tariffe al km sono predeterminate per 4 (a volte 5) anni.

Alla fine del periodo il regolatore ricalcola una base tariffaria sui tuoi costi e ridetermina le tariffe per i prossimi 4 anni.

Se nel corso dei 4 anni riesci a risparmiare o attrarre più clienti, i maggiori profitti li puoi incamerare. Fino alla prossima revisione.

L’idea è un po’ quella di simulare un mercato in concorrenza.

Se l’impresa è abile, fa profitti ma poi nel tempo i concorrenti possono copiarla o anche offrire condizioni migliori e allora si deve inventare qualcosa di nuovo.

Nel lungo periodo a beneficiare di questo processo devono essere i consumatori. E’ Adam Smith al suo meglio.

Quando però nel 2002 stavano per scadere i primi 4 anni di concessione e si doveva riformulare la tariffa per il quadriennio successivo, l’ANAS, concedente di Autostrade, presentò uno straordinario nuovo piano tariffario partendo dal livello di tariffa del periodo finale senza ricalcolo della base tariffaria.

Il ricalcolo della base tariffaria è un esercizio regolatorio molto complesso.

Soprattutto è difficile nella transizione tra un sistema ad impresa pubblica e uno con impresa privata il calcolo della base di capitale.

La stima del Capitale Regolatorio può essere basata su costi fisici di costruzione o costi contabili dell’infrastruttura.

In molti casi però gli asset sono registrati in maniera discrezionale e non corrispondente a un equo rendimento per chi ha acquisito l’infrastruttura in fase di privatizzazione.

La cosa più naturale sarebbe stata valutare il capitale proprio partendo dal prezzo pagato dagli acquirenti di autostrade, scorporando eventualmente la parte di business non regolato (Cavallo, L. e Coco. G. (2001) ‘LA REMUNERAZIONE DEL CAPITALE INVESTITO NELLE IMPRESE SOGGETTE A REGOLAZIONE’ in Economia Pubblica, anno XXXII, n.4-2002 ‘La Riforma della Regolazione nei Settori di Competenza del CIPE e dei Ministeri’, fascicolo monografico a cura di C. DeVincenti).

Come elemento di contorno, ANAS e Autostrade avevano predisposto un piano di investimenti aggiuntivi ambizioso, ben remunerato nelle tariffe degli anni successivi.

Il tutto era impacchettato nel IV Atto Aggiuntivo alla Convenzione.

Il NARS (guidato allora dal Professor Vincenzo Patrizii e in cui chi scrive aveva un ruolo) fece notare l’impossibilità di chiamare price cap, o comunque di considerarlo un sistema regolatorio decente, un sistema in cui non c’è alcun riferimento ai costi in nessun momento del processo regolatorio.

Nei quasi 4 anni passati Autostrade aveva beneficiato peraltro di un incremento notevole di traffico sulla rete, che ne aveva aumentato i ricavi unitari in maniera impetuosa.

Le posizioni in campo alla fine delle discussioni erano queste.

Il NARS, rinunciando a una riformulazione totale della base tariffaria come sarebbe stato appropriato, proponeva in un documento tecnico che le tariffe di autostrade fossero diminuite del 7%, dopo aver calcolato la quota dei ricavi aggiuntivi da traffico al netto dei maggiori costi di esazione e manutenzione di autostrade in ragione del maggiore traffico.

In pratica si rinunciava al calcolo analitico dei costi ma almeno i ricavi da maggior traffico venivano restituiti all’utenza.

La maggioranza del mondo politico, Anas e lo stesso Ministero dei Trasporti, guidato allora dal Ministro Lunardi, si opponevano fieramente al taglio di tariffa. 

L’argomentazione principale dei contrari al taglio di tariffa era che con una certa generosità tariffaria, Autostrade non avrebbe lesinato sugli investimenti.

Al margine si diceva che la sicurezza era una esigenza preminente.

Questo dibattito si ritrova in alcuni articoli accademici.

Secondo alcuni ad investire di più ed essere più efficienti sono le imprese con forti profitti e grossi mezzi finanziari.

Con Claudio de Vincenti in una serie di articoli (si veda per tutti G. Coco e C. De Vincenti (2008) ‘Optimal Price-Cap reviews’, Utilities Policy, Elsevier, vol 16, no 4, pp. 238-244), basandoci ovviamente su argomenti dei premi Nobel William Baumol e Kenneth Arrow, invece abbiamo sostenuto che nei sistemi regolamentati, un sistema debole di incentivi (le tariffe generose) probabilmente induce le imprese a un maggiore lassismo.

Una rendita enorme genera comportamenti problematici e inefficienti.

Oggi, dopo il crollo del ponte Morandi e le evidenze che si accumulano sui sotto-investimenti, sappiamo con certezza quale delle due tesi era corretta.

Il IV Atto Aggiuntivo fu approvato nel 2004 con una Legge dello Stato deliberata in Consiglio dei Ministri per saltare il CIPE, l’organo regolatorio e il Ministro dell’Economia.

Di fatto con Autostrade abbiamo pagato lo scotto di una privatizzazione con un sistema regolatorio inadeguato, gestito da strutture allora all’oscuro degli elementi basilari dei sistemi regolatori (in particolare ANAS di quei tempi).

Non abbiamo avuto gli stessi problemi dove la privatizzazione è stata gestita con delle Autorità Indipendenti e l’invasione della politica nelle tariffe è stata gestita in maniera razionale.

La vicenda Autostrade si è successivamente dipanata tra conflitti tra Stato regolatore e continui interventi della politica nel sistema regolatorio, ma in effetti l’occasione per ristabilire una razionalità di fondo nel sistema non è mai stata colta appieno.

La vicenda recente, con la minaccia di revoca, potrebbe essere usata per ristabilire alcune delle condizioni.  

Gli argomenti per la revoca della concessione vanno valutati in maniera asettica dai giuristi, se ne ricorrono i presupposti negli atti convenzionali e normativi.

Bisogna però essere coscienti che le conseguenze di una eventuale revoca non saranno facili sul piano gestionale, considerando la complessità dell’infrastruttura.

Ma la vicenda è un monito per chiunque, comprese le imprese regolate.

La sostenibilità di un sistema regolatorio dipende in maniera drammatica dall’assetto istituzionale della regolazione e dalla sua qualità.

Non è detto che il regolatore più compiacente e incompetente sia quello che conviene di più nel lungo periodo.

Finalmente vedremo un regime regolatorio basato su considerazioni economiche razionali, gestito da una autorità indipendente.

E’ importante che le caratteristiche di indipendenza e di competenza del regolatore siano rispettate.

Se non altro, per rispetto alle vittime del ponte Morandi.

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