Il bando per i finanziamenti del Pnrr all’agrivoltaico si è chiuso mercoledì scorso.
Su 1,1 miliardi di risorse dedicate alla misura, le richieste pervenute ammontano a 920 milioni di euro, per un totale di 643 progetti e una potenza complessiva di oltre 1,7 Gw.
I numeri arrivano dal Gestore dei servizi energetici, l’ente che gestisce la misura per sostenere gli impianti con una tariffa incentivante e un contributo fino al 40% dei costi.
Per il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, questo risultato “certifica la matura attenzione del mondo agricolo verso soluzioni che facciano coesistere produzione di qualità e nuove soluzioni energetiche rinnovabili”.
Il sì dell’agricoltura italiana al fotovoltaico nei campi, però, non è stato unanime, scrive il Sole 24 Ore.
Le principali associazioni del comparto agricolo hanno a lungo dato battaglia contro la collocazione a terra dei pannelli solari, che sottraggono superfici arabili alle coltivazioni nazionali.
Nel Dl Agricoltura entrato in vigore a luglio, il braccio di ferro tra agricoltori da una parte, e utilities dell’energia dall’altra, si è dovuto risolvere con un compromesso: i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia solare non potranno più essere installati a terra nelle zone agricole ma solo su supporti sollevati almeno due metri dal suolo e sui tetti di stalle e cascine.
“Salvi migliaia di ettari di terreni fertili diventati in questi mesi, sulla spinta della corsa alla decarbonizzazione e degli incentivi, l’oggetto dei desideri dei fondi speculativi e dei player energetici”, commentava la Coldiretti in una nota.
Il nostro Paese ha però fissato un target di oltre 131 Gw di energia prodotta da fonti rinnovabili al 2030: rispetto al 2021, vuol dire installare 73 Gw di nuova capacità, di cui quasi l’80% derivante da tecnologie solari.
Per questo sono in molti a guardare con interesse all’agrivoltaico.
Secondo l’ultimo report Irex della società di consulenza Althesys, il potenziale di sviluppo dell’agrivoltaico in Italia è molto alto: lo scorso anno quella agrivoltaica è stata la tecnologia che è cresciuta maggiormente, contando progetti per quasi 16 Gw, circa il 41% del totale mappato, e per un valore di circa 12 miliardi di euro.
Se il trend di crescita continuerà di questo passo, entro il 2030 l’agrivoltaico in Italia potrà raggiungere una capacità installata di circa 22 Gw, pari al 58% dei nuovi impianti a terra che saranno realizzati al 2030.
La contabilità nei campi
L’impatto dei pannelli nei campi non è tutto negativo: “bisogna fare la somma algebrica tra le voci di costo e i benefici – sostiene Alessandro Marangoni, ad di Althesys -.
Non c’è dubbio che con il posizionamento dei pannelli solari potrebbe ridursi la superficie coltivabile e, con essa, anche una parte dei contributi Pac.
Ma a fronte di questi meno, ci sono alcuni segni più: il primo è il reddito derivante dall’affittare i terreni a chi produce energia.
Mentre dal punto di vista strettamente agricolo, i pannelli sopraelevati nei campi favoriscono il risparmio idrico perché riducono l’evaporazione mantenendo le colture riparate, oltre a proteggerle dagli eventi climatici estremi”.
I calcoli di Althesys non nascondono che, con l’agrivoltaico una perdita di superficie arabile ci sarebbe, quantificata in 9.900 ettari, pari allo 0,08% della Sau nazionale.
Ma tra risparmio idrico, ombreggiamento e microclima che l’agrivoltaico riesce a creare con alcune colture, l’aumento contestuale delle rese agricole compenserebbe il minor uso del suolo, contenendo la perdita di produzione a 44 milioni di euro al 2030.
Invece, il reddito aggiuntivo derivante dall’affitto dei terreni ammonterebbe a oltre 320 milioni euro.
Il saldo, dunque, alla fine sarebbe positivo.
Alla tecnologia agrivoltaica sono molti gli investitori interessati: “tanti soggetti hanno presentato progetti, anche al di là di quelli finanziati dal Pnrr – dice Marangoni – e molti di questi sono progetti in partnership con gli agricoltori”.
Certo, però, il rischio di speculazioni o di impatti paesaggistici negativi esiste per gli impianti da fonti rinnovabili.
Lo dimostra il caso Sardegna, dove la governatrice Alessandra Todde, appena insediata, ha varato una moratoria di 18 mesi per gli impianti eolici sull’isola, poi impugnata dal Governo.
“È indubbio – sostiene Marangoni – che sia il ricorso del l’esecutivo contro la Regione Sardegna, sia il ricorso degli operatori contro il decreto Aree idonee all’installazione degli impianti a rinnovabili finiranno col creare un clima che contribuisce a rallentare il ritmo degli investimenti.
Ma quello delle rinnovabili è un trend mondiale che nel medio-lungo periodo non potrà essere arrestato.
Certo, se perdiamo degli anni dietro ai ricorsi e alla definizione delle aree idonee, agli obiettivi del 2030 l’Italia difficilmente sarà in grado di arrivarci”.