La decima legislatura del Parlamento europeo – scrive sul Corriere della Sera Andrea Manzella – sarà sotto il segno della «semplificazione». Il suo Regolamento è già cambiato. Il rapporto Letta sul mercato comune e quello Draghi sulla competitività troveranno procedure parlamentari diverse. Spesso le sue commissioni lavoreranno congiuntamente per evitare che le materie siano spezzettate nel gioco accidentato delle competenze. E saranno istituite commissioni speciali quando gli interventi tocchino trasversalmente oggetti plurimi. Ma non saranno per questo «semplici» i compiti di governo dell’Unione.
Già le convergenze preventive dei governi nazionali e delle «famiglie politiche» per un candidato «giusto» alla presidenza della Commissione, dovranno superare, alla fine della storia, la prova dell’elezione in Parlamento: a voto segreto e a maggioranza dei deputati. E poi sarà un difficile governo — e richiederà una guida di forte vigore politico— se le elezioni accentueranno la divisione tra integrazionisti e sovranisti: mentre tutto quello che non è Occidente (comprese le sue pulsioni suicidarie) è già tra noi.
Il Parlamento, si sa, non ha iniziativa legislativa ma funzioni di controllo e di emendamento: poteri politici comunque strategici nella dinamica europea di governo. Anche perché si accompagnano alla naturale funzione parlamentare di calare, nel processo di integrazione, le opinioni e i sentimenti prevalenti nello spazio pubblico europeo. È a questo capitale istituzionale che guardano, appunto, tra mille tensioni, le «famiglie politiche allargate» in ogni Paese dell’Unione.
Anche perché le elezioni di giugno determineranno non solo la composizione del Parlamento e la conformazione del governo dell’Unione, ma anche – di riflesso – quanto ogni capo di governo nazionale conterà nel Consiglio: incrociando i suoi «numeri» nel Parlamento europeo e la sua stabilità in Patria. Un rapporto antico. La nostra identità nazionale è storicamente impastata alla componente europea Vi è dunque un legame intimo tra democrazia parlamentare europea e quella nazionale. In questa compenetrazione, non è strano (e non vale dunque la pena litigare) che – nella nostra realtà di partiti fortemente personificati – leader nazionali decidano di partecipare come «candidati civetta» alla competizione elettorale europea.