La scelta del Senato accademico della Scuola Normale di Pisa di riconsiderare il bando di collaborazione scientifica tra Italia e Israele ha “finalità giuste ma mezzo errato.
Le ricerche finanziate dall’accordo culturale riguardano tecnologie della terra, dell’acqua e ottiche, e attengono al progresso scientifico, non a materie che possono avere incidenza nel settore militare”.
Così alla Stampa il giurista Sabino Cassese.
“Va sempre fatta una differenza tra gli esecutivi di un Paese e la società – aggiunge – non è danneggiando la seconda che si può ottenere un risultato da un governo non rispettoso dei diritti delle persone.
Però, va anche considerato che la Scuola Normale ha previsto l’attribuzione di due assegni di ricerca, sia per ricercatori palestinesi che per i ricercatori israeliani, che approfondiscano le cause del conflitto: questo mi sembra un lato positivo”.
“Le università e, in generale, il mondo della ricerca può e deve vivere a contatto con le società – prosegue – e ciò che si svolge nella politica; ma deve farlo nel modo giusto non auto-infliggendosi limitazioni che corrono il rischio di limitare lo sviluppo della ricerca.
I luoghi della cultura sono luoghi del dialogo e della discussione.
E dal dialogo debbono emergere le ragioni degli uni e degli altri, nonché una valutazione sulla bontà dei relativi argomenti”.
“Non credo che ci siano le condizioni e gli elementi di un nuovo ’68 – conclude Cassese – Anche perché i giudizi sugli eventi bellici in corso trovano larga condivisione”.