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Pnrr, scelta digitale o politica? I fatti dicono entrambe le cose | L’intervento di Stefano Feltri, Institute for European Policymaking Università Bocconi

Sia la versione del commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni che quella del leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte sull’origine dei 200 miliardi di euro del Pnrr sono troppo schematiche per essere del tutto esaustive.

In un’intervista a Paolo Valentino del Corriere della Sera per il libro ‘Nelle vene di Bruxelles’ (Solferino) Gentiloni ha detto che per il piano Next Generation Eu a determinare nel 2020 le quote di ripartizione tra Paesi membri dei 750 miliardi complessivi non sono stati i negoziati dei governi ma “un algoritmo che è stato tra l’altro ideato e definito da due direttori generali (entrambi olandesi)”.

Quindi per i soldi del Pnrr gli elettori non devono ringraziare Conte ma la Commissione, cioè Gentiloni.

Conte ha replicato in un’intervista che “l’algoritmo fu applicato soltanto alla fine, quando si trattò di trovare un criterio di distribuzione tra i Paesi Ue, ma nei mesi precedenti la battaglia fu durissima”.

Tradotto: è merito suo.

La verità è una via di mezzo tra le due versioni.

La pandemia da Covid-19 scoppia a fine febbraio 2020.

Già il 19 marzo Conte si fa portavoce di una richiesta di un forte intervento europeo, in un colloquio con il Financial Times.

Conte sollecita l’emissione di debito comune per affrontare “le conseguenze economico sociali” del virus: in quel momento la sua proposta principale è convertire il Mes da fondo salva Stati a sostegno dei Paesi colpiti dal Covid: “La strada da seguire è aprire linee di credito Mes a tutti gli Stati membri per affrontare le conseguenze della pandemia”.

Quando la linea di credito del Mes diventerà disponibile (il Mes sanitario), l’Italia si rifiuterà di usarla, anche se priva della richiesta di contropartite.

Conte prima voterà a Bruxelles per la riforma del Mes e poi, negli anni successivi, si opporrà alla ratifica di quanto votato.

Un mese dopo l’intervento di Conte sul Financial Times, il 27 maggio 2020 arriva la proposta della Commissione: il Recovery Plan, che combina prestiti e soldi a fondo perduto su vari programmi legati a riforme e interventi non contro la pandemia ma per rendere più solida l’economia nel medio periodo.

In comune con la proposta di Conte, c’è solo l’emissione del debito comune a livello europeo.

Già in quella proposta c’è l’algoritmo: il parametro chiave per la commissione è l’aumento della disoccupazione, come indicatore dell’impatto della pandemia.

I parametri vengono modificati nel Consiglio Europeo del 21 luglio, che Conte racconta come la battaglia finale nella quale finalmente è prevalsa la linea italiana.

Il parametro della disoccupazione diventa meno rilevante, assume più peso l’andamento del pil pro capite.

Secondo i calcoli di Zsolt Darvas del think tank Bruegel, l’Italia ottiene 5 miliardi di euro in più per il futuro Pnrr, ma perde fondi su altri programmi e alla fine il saldo è negativo per un miliardo rispetto alla ripartizione pre-Consiglio.

Germania e Francia escono dal Consiglio che Conte pensa di aver vinto con 13,4 e 7,4 miliardi in più rispettivamente, sempre secondo le stime del Bruegel.

La proposta della Commissione non sarebbe mai stata possibile senza una qualche forma di consenso politico a procedere verso l’intervento condiviso a livello europeo, e certo la pressione dell’Italia di Conte avrà avuto un ruolo (ma inferiore a quello della Francia).

Ma sostenere che sia stato lui a negoziare i dettagli della ripartizione o che abbia modificato la proposta della Commissione in un senso più favorevole all’Italia è poco coerente con la cronologia dei fatti.

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