E’ molto difficile in questo momento per l’Italia avere una prospettiva diversa da quella “drammatica” fotografata dall’Ocse.
Ne e’ convinto il direttore dell’istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi, che in un colloquio premette: “A oggi non sappiamo se ci sarà una seconda ondata del virus. Quello che sappiamo è che la modalità scelta dai governi, non solo quello italiano, per rispondere all’emergenza Covid è stata chiudere l’economia. Ma l’economia non è un computer, che si può accendere e riavviare premendo un tasto. Si tratta di sistemi complessi nei quali non solo le variabili sono moltissime, ma il cambiamento di una sola di loro ha effetto su tutte le altre”.
Per cui il processo di riavvio “è estremamente complesso. E in parte avviene sulla base di dinamiche che ci sono sconosciute. Ma sappiamo tutti, credo, che un secondo lockdown è insostenibile”.
In questo contesto, per l’economista, la chiave per ripartire potrebbe “essere solo una: immaginare almeno una fase nella quale tutte le difficoltà di carattere burocratico e amministrativo siano sospese, cercando di fare leva sulla voglia e sulla capacita’ di intraprendere degli italiani, sapendo che le categorie più colpite da questa crisi sono gli autonomi e gli imprenditori assai più dei lavoratori della Pa, che in questi mesi non hanno perso un euro di stipendio”.
Pero’, ragiona, “tutto questo va contro la cultura prevalente”.
E sentenzia: “A noi non è il virus che ci ammazza ma sono le patologie pregresse. Ovvero debito troppo elevato, tasse troppo alte, norme incomprensibili e disincentivi diffusi all’imprenditorialita’”.
Argomenta Mingardi: “Siamo tutti rimasti stupefatti guardando i dati americani di qualche giorno fa. C’e’ stata una straordinaria esplosione di disoccupazione dovuta ai lockdown e poi abbiamo visto i posti di lavoro riapparire. E’ un dato questo che racconta un paese molto flessibile. Con mille altri difetti, ma che può ripartire da subito”.
Cosa che in Italia non può accadere.
“Se le conseguenze del Covid restano con noi per molto tempo – continua – la cosa più importante e auspicabile sarebbe una riallocazione delle risorse”, cioè togliere capitali e persone da ambiti nei quali questi capitali e persone non possono funzionare oggi e spostarli in ambiti nei quali possano funzionare.
Questo, prosegue nel ragionamento l’esperto, “è qualcosa che può accadere in economie molto più flessibili di quella italiana (vedi quella Usa), ma e’ difficilissimo in una economia rigida come la nostra”.
Perche’ l’economia italiana riprenda, afferma ancora, “bisognerebbe cercare di non definire incentivi che vanno nella direzione opposta”.
E spiega: “Per ora in Italia abbiamo visto sostanzialmente un tasso di disoccupazione calmierato in ragione della proibizione di licenziamenti, ma abbiamo già visto diminuire il tasso di occupazione. E questo avviene in un’economia come la nostra, nella quale il numero di persone occupate e’ tradizionalmente più basso che in altri Paesi”.
Secondo Mingardi, “se tutta la politica e la comunicazione del governo sono indirizzate alla progettazione di sussidi e ristori con la promessa addirittura esplicita che questi saranno permanenti, e’ normale che il tasso di occupazione scenda. E’ la risposta razionale di tanti che farebbero fatica a cercare lavoro in una situazione insidiosa e scelgono di attraversare acque piu’ basse”, spiega. E conclude la sua analisi: “L’unica cosa sulla quale possiamo fare affidamento è che, una volta assente il virus o almeno clinicamente sotto controllo, riprendano un po’ quei meccanismi di socialità che sono fondamentali. Le transazioni economiche non avvengono sotto campane di vetro, ma hanno bisogno che le persone s’incontrino, parlino, scambino”.