L’obiettivo è quello di garantire una maggiore equità, oltre che sostenere i redditi del ceto medio. Per farlo, i commercialisti hanno formulato una proposta al governo per rendere meno opprimente la tassazione: l’ipotesi si basa sulla riduzione in modo strutturale del numero di aliquote Irpef da 5 a 4, eliminando l’aliquota al 38%.
Massimo Miani, presidente dei commercialisti italiani, in un’intervista al Corriere della Sera, ha affermato di condividere “l’attenzione che l’attuale esecutivo sta ponendo sui redditi del ceto medio la priorità deve essere data ora a quei redditi compresi tra 28.000 euro e 55.000 euro lordi che scontano un’aliquota marginale del 38%, la quale, considerato il livello dei redditi su cui viene applicata, appare più espropriativa che progressiva. Al costo finanziario di 9 miliardi di euro, sarebbe possibile abrogarla ed espandere dunque quella del 27% fino a 55.000 euro, riducendo così in modo strutturale il numero di aliquote Irpef da 5 a 4”.
“In Italia esistono ancora trattamenti iniqui: due nuclei con lo stesso reddito, uno formato da una coppia senza figli e uno con figli a carico, ricevono un trattamento fiscale pressoché identico – dice Miani – allo stesso tempo non c’è uniformità di tassazione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, con quest’ultimo penalizzato per un’inaccettabile condanna di evasione fiscale. Si tratta di una disparità anticostituzionale visto che le tasse dovrebbero essere tarate sul reddito e non sul tipo di lavoro”, osserva. Infine c’è il tema della semplificazione in un sistema fiscale tra i più intricati al mondo. “Da tempo avvertiamo che il sistema di complicazioni e’ ormai arrivato a un punto di non ritorno. Nessuno più di noi commercialisti conosce l’inestricabile groviglio delle norme tributarie e il livello di complessità, al contrario di ciò che dice la vulgata comune, non agevola il nostro business”, conclude.