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[Lo scenario] Draghi sì, Draghi no. La politica deve decidere sul leader chiamato dopo il loro fallimento. Ma in gioco c’è l’Italia

È davvero alta la posta in gioco delle elezioni del Capo dello Stato che hanno inizio da domani.

E i direttori dei principali giornali non mancano di sottolineare le grandi incognite del momento. E di fatto tutti i nodi irrisolti del difficile periodo politico italiano – poi congelati dall’emergenza Covid – ora rischiano di emergere prepotentemente tutti insieme.

Lo spiega nel suo editoriale il direttore dell’Espresso Marco Damilano.

“Ora è arrivato il momento della scelta che segna in ogni caso la fine dell’attuale formula su cui si regge il governo Draghi e l’inizio di una fase nuova. Un anno fa il governo Draghi fu un’imposizione subita dai partiti. Era arrivato l’oggetto misterioso, l’uomo di Banca d’Italia e della Bce, benedetto dai poteri forti, se ancora esistono, ma c’è da dubitarne”.

Draghi marziano a Roma

“Il nuovo premier – spiega Damilano – si aggirava prudente nei palazzi del Parlamento, che aveva frequentato in anni lontani nelle audizioni, e nelle stanze ministeriali, che gli erano più familiari per averle abitate negli anni lontani della direzione generale del ministero del Tesoro. I leader di partito lo studiavano, con apprensione e soggezione”. 

“Il governo Draghi è stato una scelta di Sergio Mattarella: il gesto di un politico che con la sua decisione cambia il corso delle cose. Doveva consentire ai partiti di riprendere il loro ruolo nella società, verso le prossime elezioni politiche, e di approvare una nuova legge elettorale, le regole del gioco. Alcuni hanno provato a farlo”.

Draghi sì o no

“Il sistema politico stremato, estenuato, quasi al termine della legislatura più pazza della storia repubblicana, la più sconclusionata, arriva così al momento più alto della vita costituzionale, l’elezione del nuovo capo dello Stato. I partiti sono chiamati a scegliere Draghi. Draghi presidente della Repubblica o Draghi presidente del Consiglio: perché un anno fa il governo Draghi fu una non-scelta, una necessità dettata dagli eventi, subita per evitare il fallimento o pericolose elezioni anticipate”, ricorda Damilano.

“Mentre oggi anche la riconferma dell’ex banchiere centrale a Palazzo Chigi, con un altro nome al Quirinale, sarebbe una scelta. E le condizioni della scelta sono tutte da scrivere”.

“Per quasi dodici mesi si è addestrato alle virtù del governante: capacità di ascolto, inclusione, empatia, rappresentanza del Paese nelle sue pieghe più nascoste e dolorose. L’ha fatto con molte contraddizioni e criticità, assistito dalla saggezza politica di Sergio Mattarella. Oggi Draghi è chiamato a incarnare l’uomo di Stato, con la politica, non senza o contro la politica. I prossimi giorni diranno se la metamorfosi è compiuta. Altrimenti sarà un drammatico fallimento”.

Non c’è alternativa 

Il direttore di Repubblica Maurizio Molinari ritiene che “la più vasta coalizione possibile non ha alternativa in questo momento perché rinunciarvi significherebbe diventare più deboli davanti alla perdurante minaccia del Covid 19 e più incerti nella gestione dei fondi del Next Generation Eu, indispensabili a risollevare l’economia. Da qui l’imperativo per i Grandi elettori di scegliere un nome di presidente che renda più forte, coesa ed estesa l’attuale maggioranza politica. Perché “rappresentare l’Unità della nazione”, come chiede la Costituzione, non potrebbe essere oggi più necessario e indispensabile. Liquidare a cuor leggero la rara coesione politica registrata attorno al governo Draghi sarebbe, da parte dei partiti, l’errore più grande”.

La grande responsabilità del Parlamento 

“Poiché siamo una democrazia parlamentare a decidere quale strada intraprenderemo saranno i Grandi elettori ovvero donne e uomini che ne dovranno rispondere non solo ai rispettivi leader e partiti ma in ultima istanza al Paese intero, ed a loro stessi. A fare la differenza, nel segreto dell’urna, sarà la responsabilità personale ovvero quanto ognuno riuscirà a far prevalere l’interesse nazionale” sottolinea Molinari.

Italia in bilico 

“Deve pero essere ben chiaro che quella a cui andiamo incontro non è solo la scelta di un nome per il Quirinale ma qualcosa di più vasto e impegnativo: rafforzare la riconquistata stabilità del Paese, ovvero la più importante eredità del settennato di Sergio Mattarella, per affrontare con maggiore sicurezza le scelte difficili che incombono oppure tornare a scivolare in un’instabilità cronica destinata a rimettere in gioco i populisti di ogni matrice e colore. Ecco perché l’Italia è in bilico” conclude Molinari.

Triste spettacolo 

Il direttore del quotidiano La Stampa Massimo Giannini ricorda che il giornale tedesco  Suddeutsche Zeitung scrive : “Se l’elezione dovesse andare per le lunghe, l’Italia rischierebbe di perdere la credibilità internazionale appena riconquistata, e tornare ai tempi dei vecchi luoghi comuni, quando sidiceva «è sempre la solita Italia». Un triste spettacolo”. 

“Non vogliamo prendere lezioni da nessuno – sottolinea Giannini- Neanche dai tedeschi, visto che solo due mesi fa l’allora cancelliera Angela Merkel diceva “invidio l’Italia per come sta affrontando il virus”. E un mese fa l’Economist ci premiava come “La nazione dell’anno”. Ma di fronte al “triste spettacolo” di queste ore, come si può dare torto a chi dentro o aldilà dei confini teme l’avvitarsi della stessa crisi di sistema che aveva portato alla discesa in campo di Draghi, e che adesso rischia di bloccare il passaggio istituzionale più delicato e magari di trascinare nel baratro anche l’esecutivo? Per queste ragioni, auspicando uno sviluppo ordinato del confronto politico e un accordo trasversale su una “figura di alto profilo” di cui si riempiono inutilmente la bocca i segretari dei partiti , il nostro giornale aveva assunto una linea chiara fin dall’inizio: in un Paese normale un presidente del Consiglio che governa bene e ha riportato la nazione agli onori del mondo continua a farlo, mentre i partiti trovano un Capo dello Stato all’altezza, tra le migliori risorse o riserve della Repubblica. Se invece questa convergenza risulta impossibile, allora si condivida l’idea di portare lo stesso Draghi sul Colle. Perché tutto si può permettere l’Italia di oggi, meno che di lasciare in panchina l’uomo che le sta ridando credibilità e fiducia, dopo averla rappresentata ai più alti livelli alla Banca d’Italiae alla Bce”.

Meglio Draghi al Quirinale

“Per Draghi meglio sette anni al Quirinale, come garante della Costituzione e della fedeltà atlantica ed europeista, piuttosto che un altro anno al governo in balia di una maggioranza già in campagna elettorale in vista del voto del 2023. Dopo quello che sta succedendo, e salvo clamorose ma improbabili riaperture su Mattarella, restiamo convinti che questa rimanga la via maestra. Certo, ci si arriva nel modo peggiore”. 

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