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[L’intervento] Michele Fioroni (Assessore Sviluppo economico Regione Umbria): «Politiche industriali e Pnrr, l’assenza di pianificazione e il rischio della frammentazione»

La debolezza della politica energetica

Si è molto parlato in questi giorni di politica energetica e di come questa abbia bisogno di pianificazione.

Un’analisi dura ed impietosa quella emersa sul nostro paese, ma anche sull’Europa.

Incapacità cronica di confrontarsi con le proprie debolezze strutturali, mancanza di coraggio nelle scelte, assenza totale di una visione di lungo periodo, le  critiche principali.

Se a ciò aggiungiamo una burocrazia che sembra ancora essere più concentrata sugli impatti che hanno gli investimenti nelle fonti rinnovabili, pulite e a basso costo, piuttosto che sui benefici che ne derivano, possiamo facilmente concludere che sia stato sbagliato quasi tutto.

Dipendenza energetica vincolante

Siamo un paese trasformatore, che genera ricchezza trasformando materie prime e utilizzando fonti energetiche provenienti da altri paesi. Peccato che per energia e materie il nostro paese, non solo non abbia autosufficienza, ma dipenda da un numero ristretto di fornitori.

Qualsiasi imprenditore potrebbe facilmente argomentare su come, questa strategia, rappresenti sempre un pericolo, anche quando si accompagna a cospicue economie negoziali.

Dipendere per il 40% del gas e il 20% del petrolio dalla Russia, era un rischio noto. Eppure in questi anni, anche a livello europeo, poco è stato fatto sia per ridurre la dipendenza dalla Russia, sia per revisionare il mix energetico piuttosto che cercare nuove modalità per favorire l’autosufficienza.

La pianificazione dell’Oriente

E mentre nel bel paese e in Europa sonnecchiavamo su tutto, in Oriente si continuava a pianificare.

Una strategia di lungo periodo, articolata e declinata in maniera scientifica su più quinquenni, quella che ha portato la Cina a diventare leader mondiale in molti settori strategici.

Un modello di pianificazione che non lascia spazio all’improvvisazione e trova negli eventi imprevisti  come il Covid (sempre che lo sia), una turbolenza che sposta in avanti solo di poco l’attuazione di un piano i cui tempi sono scanditi con rigore totale.

Una strategia articolata, fatta non solo di ricerca e sviluppo e incentivi interni alla produzione nei settori strategici, come quelli legati alla transizione ecologica, al calcolo computazionale, all’intelligenza artificiale e alla mobilità elettrica, ma anche di una politica estera tanto cinica che pragmatica.

I piani quinquennali

Alla base di tutto i piani quinquennali, uno strumento ibrido capace di coniugare il modello socialista con l’economia di mercato, prendendo il meglio di entrambe.

A fianco di un sistema di pianificazione tipicamente socialista, la Cina ha saputo accompagnare un economia di mercato efficace, concreta e innovativa, sebbene allo stesso tempo corsara, depredatrice e sfruttatrice. Ma al di là dei giudizi negativi, che pure è necessario dare, vale la pena approfondire il modello cinese.

L’espansione della Cina

Una lettura attenta della politica di Xi Jinping evidenza come la Cina si sia ormai da tempo incanalata in un percorso orientato a perseguire una maggiore autonomia, sia per la capacità di soddisfare la domanda di consumo attraverso il proprio sistema produttivo,  sia per l’accesso alle risorse necessarie per sostenere la crescita di settori ritenuti strategici, ma anche per la ricerca di paesi in cui produrre a costo più basso.

A sostenere la crescita degli eredi di Mao una politica internazionale espansiva, sotto traccia, che ha portato la Cina a detenere quote crescenti di debito pubblico di alcuni paesi, controllandone tra prestiti, linee di credito e progetti infrastrutturali le condizioni di crescita e legandoli a doppio filo con la propria economia.

Non si tratta di paesi qualsiasi, stiamo parlando di alcuni tra i più ricchi, ad esempio, di quei materiali indispensabili per alimentare la produzione di batterie per le auto del futuro.

Quella nell’industria delle batterie per i veicoli elettrici non è una semplice strategia di rafforzamento in un settore, ma persegue l’obiettivo puntuale di conquistarne la leadership mondiale. Una pianificazione di dettaglio che non ammette imprevisti. Pechino la Detroit del futuro.

Un obiettivo per la cui conquista la Cina sta lavorando da oltre un decennio.

Gli investimenti in Africa e Sudamerica

Mentre ancora veniva considerato a pieno titolo “l’inquinatore del mondo”, la Cina ha saputo pazientemente investire in Africa e Sudamerica in quell’industria mineraria da cui derivano i metalli per lo sviluppo delle tecnologie pulite, creando le condizioni per un’autosufficienza produttiva per la transizione Green.

Non è casuale quindi che oggi, il grande vantaggio dei produttori di batterie cinesi stia proprio in quell’accesso alle materie prime che consentirà al paese di avere la più grande capacità produttiva nel settore su scala globale.

Xi Jinping sapeva bene ce la crescita nazionale non poteva prescindere da nuove risorse energetiche il cui sviluppo richiedeva la piena autonomia del paese da tutte quelle materie che ne rappresentano la determinante produttiva.

Da cui un grande piano d’investimenti nel continente africano, il più ricco di minerali. Un’azione di conquista durata un decennio.

Da un lato, la mano buona degli investimenti in infrastrutture, dall’altro investimenti cospicui nel settore minerario, secondo un modello che ha tanto il sapore di neocolonialismo.

Gli investimenti infrastrutturali, il cavallo di Troia di Pechino, come anche accordi di favore, come nel caso del Congo, detentore di larga parte del mercato del cobalto, che consentono alle imprese congolesi di esportare in Cina senza dazi mentre intanto, imprenditori cinesi hanno investito nel settore estrattivo assumendone il controllo.

Il vaccino cinese Sinovax

Lo stesso Sinovax, il vaccino Cinese per il Covid, è stato usato come grimaldello umanitario per l’ingresso in alcuni mercati strategici.

Una strategia articolata, con l’ambizione ulteriore di sostituire nel futuro quello stesso sudest asiatico con manodopera a basso costo. E anche in questo caso la pianificazione di Pechino è cinicamente mirata, favorendo in questi paesi la transizione dall’agricoltura alla manifattura e investendo in infrastrutture per favorire la produzione e la circolazione di bene e servizi.

La guerra persa dall’Europa

E’ evidente che se dovessimo limitarci a osservare lo scenario appena tracciato con occhio impietoso, sembrerebbe già tutto scritto.

Una guerra già persa, non fatta di bombe e carri armati, ma di cinica pianificazione.

L’Europa ha cercato, con gli strumenti di programmazione settennali, di costruire un modello di pianificazione che si concentrasse su obiettivi comuni e precisi che peccano tuttavia, per eccessivo genericità.

La forza del modello di pianificazione cinese sta proprio nella specificità degli obiettivi alla base del piano. Non si parla di favorire la transizione della mobilità verso modelli più sostenibili, ma di acquisire in cinque anni la supremazia mondiale sul mercato della auto elettriche.

Concentrazione degli obiettivi e massa critica, questo il segreto.

Il PNRR è la sfida da non perdere

Per questo non possiamo perdere la sfida del PNRR, lo strumento di pianificazione forse più simile a quello cinese.

Poche priorità ma ben delineate, modalità d’attuazione chiare e poca frammentazione, la partita si giocherà tutta qui.

Il modello dei bandi messo in campo dal governo non sembra per ora andare del tutto in questa direzione.

Già la spartizione delle misure tra i ministeri è elemento che genera confusione. Un esempio su tutti, l’energia è tema dello sviluppo economico o della transizione verde? Piuttosto che, il trasferimento tecnologico riguarda le imprese o le università. Il rischio che il nostro PNRR cerchi più un equilibrio tra ministeri e ministri, piuttosto che traiettorie di sviluppo è evidente.

Per inciso, aver tolto energia e commercio estero dallo sviluppo economico, un errore madornale.

I dubbi sull’attuazione

Se pensiamo che il successo del nostro piano debba passare attraverso la capacità dello scarico a terra degli 8.000 comuni italiani i dubbi sull’attuazione rimangono tanti.

Piuttosto che frammentare le misure tra una pletora di Enti sarebbe opportuno cercare un maggiore coinvolgimento delle Regioni, l’equivalente degli Stati americani e  delle province cinesi, unici soggetti istituzionali avvezzi con gli strumenti di una programmazione a medio lungo termine, quella dei settennati europei.

La sfida dei sistemi di pianificazione

Se pensiamo inoltre a come negli ultimi anni la legge di bilancio sia stata di fatto l’unico strumento di programmazione nel nostro paese ci rendiamo conto di come l’attuale classe politica si sia prevalentemente concentrata su una visione  di breve periodo, più simile a una trimestrale di cassa di un’azienda che alla pianificazione economica ed energetica.

Appare evidente, da quanto scritto, che sarà nei sistemi di pianificazione il terreno di contesa per un nuovo ordine mondiale.

Una guerra non  ancora persa, ma la strategia va cambiata senza troppi compromessi, equilibri istituzionali e politici, o non ci sarà scampo.

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