Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera riflette sui risultati delle elezioni europee, e afferma senza reticenze che il voto dell’8 e 9 giugno è stata l’ennesima prova di forza della destra italiana. Giorgia Meloni, commenta, non ha fatto una campagna da destra moderata, conservatrice, europea. Non ha rinunciato a un’oncia di se stessa. Ha stretto un’alleanza con Eric Zemmour, uno che sta a destra di Marine Le Pen, e ha flirtato con la Le Pen stessa. Lo scandalo dell’ultima ora – il portavoce del cognato ministro inneggiava ai terroristi neri che negli anni 70 e 80 mettevano le bombe sui treni e ammazzavano i poliziotti – non le ha tolto un voto. E alla sua destra Matteo Salvini salva la ghirba grazie al generale Vannacci, che ottiene mezzo milione di preferenze non nonostante, ma grazie alle sue sparate. Mentre, solidamente ancorata nel centrodestra, Forza Italia cresce. Il progetto di Renzi e Calenda è fallito, oltre che per le rivalità personali, perché presupponeva la fine di Forza Italia; che non c’è. A sinistra Elly Schlein ottiene un buon risultato. Ma se si fosse votato per le politiche, la vittoria della destra sarebbe stata ancora più netta: perché i consensi dei tre partiti della maggioranza si sommano; quelli dell’opposizione no. Ciò non toglie che ora Giorgia Meloni sia a un bivio. Che non è solo tra sostenere Ursula von der Leyen, unendosi alla maggioranza che governerà l’Europa ma spaccando il gruppo dei Conservatori di cui è presidente, oppure mantenere l’unità del gruppo ma schierando il governo italiano all’opposizione. Il vero bivio è tra il ritenere che i problemi dell’Italia – a cominciare dall’immigrazione e dalla sostenibilità del debito pubblico – si risolvano più facilmente facendo da soli, o collaborando con i partner europei e con le istituzioni di Bruxelles. Marine Le Pen questo dilemma l’ha risolto da tempo: per lei la legislazione nazionale deve prevalere su quella comunitaria; il che implica la distruzione dell’Europa come l’abbiamo conosciuta. Molto quindi dipende dalla partita che si gioca oltralpe.
Stefano Folli, la Repubblica
Anche Stefano Folli su Repubblica commenta i risultati delle elezioni. Domenica – afferma – l’asse europeo che ha retto per decenni sul rapporto privilegiato tra Parigi e Berlino è andato in crisi. Far finta di nulla significa rassegnarsi a un declino sempre più rapido- L’Italia, è ovvio, non può non tener conto dello psicodramma che si svolge sulla scena europea. Nei paesi dell’Unione serpeggia da anni un senso di malessere, una frustrazione mescolata alla paura del futuro da cui è derivato il risultato dell’altro giorno. C’è chi dice che è un fenomeno passeggero, prova ne sia che la maggioranza al Parlamento di Strasburgo resiste ancora, solo un po’ indebolita. Altri sentono invece il fragore che si avvicina. Per cui i problemi, per quanto riguarda l’Italia, sono due. Da un lato, come stare nella nuova Europa; dall’altro, non limitarsi all’autocompiacimento per la stabilità interna: esito notevole, ma solo se sarà utilizzato per rendere il Paese più moderno. Certo, lo sconquasso franco-tedesco apre spazi a Roma per giocare un ruolo nel governo dell’Unione. S’intende, Giorgia Meloni non si muove nella metà campo di Macron, ma in quella di Marine Le Pen. Al tempo stesso ha coltivato l’amicizia con Ursula von der Leyen; ha arringato gli estremisti di Vox, ma in altre sedi ha offerto un volto conciliante da conservatrice dialogante. E sta per ricevere i cosiddetti “grandi” nel vertice in Puglia. Da lei ci si attende che nei prossimi mesi metta a punto il suo profilo e decida cosa vuole essere nell’Europa che cambia. La rottura definitiva e conclamata con i tedeschi di Alternative e i loro amici austriaci può essere il primo passo. Ma la destra di governo nella seconda parte della legislatura sarà giudicata dalla sua capacità di rispondere al malessere diffuso. Il che vuol dire riforme in chiave liberale. Diverse da quelle proposte dalla sinistra, ma figlie della stessa esigenza.
Massimo Cacciari, La Stampa
Alle 23 di domenica – sottolinea sulla Stampa Massimo Cacciari – poco più della metà dei cittadini europei aventi diritto era andata a votare. Al Sud d’Italia il 40%. Incredibile ma vero nessuno ne terrà conto. La forma è salva, della sostanza chi se ne frega. La democrazia si sfalda lentamente quanto inesorabilmente, nella indifferenza di tutti i democratici (e oggi tutti dichiarano di esserlo). Le forze politiche che hanno cercato di praticarla nella sua sostanza progressiva dalla fine della seconda Grande Guerra, da quelle popolari di ispirazione cristiana a quelle socialdemocratiche, sostanzialmente alleate, fino ai Reagan e alle Thatcher, nel volere una presenza dello Stato capace di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», quelle forze politiche proseguono nella loro inarrestabile decadenza. Irresponsabilmente vi è chi, da ciò che resta di un Grande Centro europeo, canta vittoria, mentre Macron è calpestato dalla Le Pen, crolla il governo belga, e in Germania e in Austria le gloriose rovine della SPD sono superate dall’estrema destra. Davvero una bella Mitteleuropa! Basta agli attuali governanti restare in sella, barcollanti finché si vuole – e soprattutto non chiedersi mai le ragioni della profonda crisi dell’idea stessa di Europa. La buona notizia è che i numeri daranno la possibilità di escludere ancora la destra più becera dalla governance dell’Unione; la pessima è che questo “successo” metterà ancora a tacere ogni riflessione critica seria sui nostri destini. Due sono gli eventi davvero storici di queste elezioni: Macron doppiato da parte della Le Pen e il superamento del Partito Socialdemocratico tedesco da parte dell’estrema destra dell’AfD. Si tratta dei Paesi centrali per ogni discorso o disegno che voglia mirare all’unità politica europea. Non si costruiscono unità politiche di nessun tipo in assenza di forze costituenti in grado di guidarle. Ora né Germania né Francia, né qualsiasi assicella tra loro, potranno svolgere un tale ruolo. L’Europa si sveglia da queste elezioni senza più neppure la speranza di un possibile federatore politico.
Mario Ajello, Il Messaggero
Per Mario Ajello quello ottenuto da Giorgia Meloni alle europee è un successo senza se e senza ma. Avvenuto in condizioni di gioco non facili, basti pensare alle ristrettezze economiche nelle quali il governo si è dovuto muovere in questi venti mesi dall’inizio della legislatura, e che si deve all’uso di un doppio registro. Da una parte la premier super-pop, il format dello «scrivi Giorgia», la capacità di stabilire una connessione politico-sentimentale con gli elettori – evidentemente non solo con quelli originari, perché FdI è andata oltre il risultato del 26 per cento delle Politiche del 2022 – che si è riattivata nonostante il potere, come si vede nei casi di Macron e Scholz, logori chi ce l’ha. E appartiene a questo registro, a questo primo Canone Giorgia, la scelta di puntare a un’esposizione pubblica della sua leadership in cui il principio di autorità – io guido la nazione, io sono stata scelta dal popolo per portare avanti l’Italia senza farmi irretire dalla difficoltà – si unisce al principio di prossimità: il sono sempre la stessa di prima, non mi sono rinchiusa nel Palazzo, sono vicina alla gente perché continuo ad essere gente. E sarà pure una retorica quella dell’underdog ma come retorica funziona. A questa linea di condotta quasi orizzontale rispetto ai cittadini, pur non nascondendo che le responsabilità di chi è classe dirigente appartengono a una sfera di Stato e rispondono a visioni e a azioni connaturate all’autonomia della politica, Meloni ha affiancato l’altro registro che è quello che spiega l’ottimo risultato ottenuto da lei e dal suo partito nel Nord-est e nel Nord-ovest (dove un elettore su 3 ha scelto FdI) e le buone performance nelle altre aree del Paese, più quelle del Centro che quelle del Sud (e pensare che la vecchia fiamma era forte soprattutto nel Mezzogiorno), a forte densità di industrie piccole e grandi, di imprese anche artigiane, di laboriosità che cerca di fare sistema, di distretti che spingono l’Italia. Oltre alla Giorgia pop, insomma, la Giorgia produttivista.
Alessandro Sallusti, Il Giornale
I socialisti – ammette sul Giornale Alessandro Sallusti – non ci stanno simpatici, anzi pensiamo che siano la causa della maggior parte delle disgrazie europee. Neppure la presidente uscente del governo europeo Ursula von der Leyen sprizza simpatia, potendo sarebbe meraviglioso, pensando alla nuova guida dell’Unione, fare a meno degli uni e dell’altra. Nonostante l’ottimo risultato delle varie destre europee, pare però che non ci siano i numeri per mettere su una maggioranza di centrodestra pilotata da quel Partito popolare che raggruppa tutti i partiti moderati (tranne quello di Macron). Questioni complicate, fatte di veti e controveti, che per spiegarle non basterebbe un giornale intero. Il tema che quindi si impone è il seguente: può l’unico leader europeo che ha vinto le elezioni, Giorgia Meloni, mettersi all’opposizione in Europa? Può il partito italiano principale, Fratelli d’Italia, chiamarsi fuori dalla cabina di regia che deciderà le sorti dell’Europa per i prossimi decisivi e complicati cinque anni perché «noi mai più con i socialisti» o perché «Ursula non ci piace»? Non so che risposte darà a queste domande nei prossimi giorni Giorgia Meloni. Certo ha una grande responsabilità, quella di tenere l’Italia in partita a prescindere dalle appartenenze politiche dei singoli interlocutori. È nello stile della donna, che non si è chiesta se Joe Biden fosse di destra o di sinistra ma se l’America debba o no essere nostro interlocutore privilegiato e strategico; non se il presidente tunisino o quello albanese siano sinceri democratici, ma se utili alla causa italiana. Quella che sta affascinando gli italiani è una nuova destra che si è liberata dai fantasmi che ancora aleggiano nei suoi estremi, che ha superato gli slogan facili del populismo demagogico, che ha dimostrato di saper stare seduta alla pari a tavoli importanti. E allora perché non immaginare che un’operazione simile sia possibile anche in Europa, con o senza socialisti, con o senza Ursula perché i percorsi si costruiscono un passo alla volta. Chi vuole inchiodare Fratelli d’Italia al destino di tutte le destre europee indistintamente ha uno scopo preciso: togliersi dai piedi il più possibile Giorgia Meloni. Non sapendo che la donna ha uno scarso spirito decoubertiniano: l’importante non è solo partecipare, serve vincere