I comportamenti dell’Amministrazione Trump sono così dissennati e ondivaghi da aver aggravato la pesante incertezza che caratterizza, da tempo, la situazione internazionale.
Sebbene manchi ancora un riscontro empirico, sarebbe sorprendente se la mossa trumpiana di imporre – prima – dazi di livello spropositato e di ridurli – poi – in modo parziale e insufficiente, non portasse a una recessione dell’economia statunitense e non avesse impatti negativi anche sulle altre maggiori aree economiche.
L’Unione europea e l’euro area hanno, però, margini di reazione.
L’utilizzo di questi margini richiede che le istituzioni europee completino passate iniziative di governance (per esempio, l’unione bancaria e l’unione dei mercati dei capitali) e intraprendano politiche industriali centrali capaci di innescare una crescita basata su investimenti innovativi pluriennali (pubblici e privati).
Il disordine introdotto dall’Amministrazione Trump rende necessario accelerare i tempi di realizzazione di tali cambiamenti del modello produttivo europeo.
È in questo quadro che vanno valutate le imminenti scelte della Banca centrale europea (Bce).
A fronte di una sostanziale stagnazione economica in molti Stati membri, i recenti tagli nei tassi di interesse di policy sono stati insufficienti per superare l’intonazione moderatamente restrittiva della politica monetaria nell’euro area.
Pertanto, sebbene l’inflazione attesa rimanga un po’ sopra alla soglia del 2%, è essenziale che domani la Bce sfrutti la flessibilità prevista dal suo target di inflazione e prosegua nella riduzione dei tassi.
La mia previsione è che vi sarà un abbassamento di 25 punti base.
Sarebbe, tuttavia, importante rimarcare che la persistente inaffidabilità di Trump (e non solo sui dazi) rende esistenziali le sfide fronteggiate dall’euro area: il che raccomanderebbe un taglio di 50 punti base.