La Tenuta San Giorgio si trova sulle colline di Santa Giulietta, tra le dolci colline dell’Oltrepò Pavese, da dove è possibile ammirare un panorama che va dalle Alpi all’Appennino.
Qui opera la Cordero San Giorgio, azienda vitivinicola a conduzione familiare che produce un’ampia gamma di vini dal carattere forte, a partire dal Pinot Nero, fino alla Barbera, alla Croatina, al Pinot Grigio e allo Chardonnay.
Abbiamo intervistato Caterina Cordero che insieme ai suoi due fratelli ha dato vita a questa esperienza davvero unica.
Dr.ssa Cordero, grazie per la sua disponibilità. Lei è una giovanissima imprenditrice che lavora nel settore vitivinicolo. Qual è lo stato di salute del settore vitivinicolo in Italia? Quanto pesano le crisi economiche e internazionali sulla vostra attività?
Parlare della nostra azienda nello specifico è molto difficile; essendo un’attività molto giovane, avviata nel 2019, il confronto con gli anni precedenti non è attendibile e sicuramente non rispecchia l’andamento generale di questo settore.
Nel nostro piccolo, l’azienda è in crescita di anno in anno, quindi non possiamo dire di aver risentito delle crisi fortunatamente.
Come tutti, abbiamo subito l’incremento dei costi delle materie prime che ha avuto un forte impatto sui costi di produzione (ad esempio, tutti i materiali di confezionamento come tappi, bottiglie, cartoni, tra il 2022 e primo semestre 2023, sono arrivati a costare più del doppio degli anni precedenti), ma la situazione sta piano piano ritornando alla normalità.
Quindi, la nostra realtà è un pochino anomala, ma guardando al settore in generale, l’industria vinicola mondiale sta attraversando un periodo di incertezza economica e sociale, e sta affrontando una serie di sfide che hanno modificato notevolmente le dinamiche di consumo a livello globale.
Diversi fattori stanno rimodellando il mercato: in primis, la pressione inflazionistica ha provocato un calo significativo del consumo di vino, ma non solo; anche la crescente consapevolezza della salute, soprattutto tra i Millenials e la Gen Z, sta influenzando le abitudini di consumo e la rapida crescita della categoria dei vini dealcolati, i vini NO-LOW alcohol, ne è la conferma.
In Italia, questa tendenza non sembra ancora influenzare i consumi, ma sicuramente il mercato nazionale sta diventando sempre più dipendente dai consumatori più anziani.
Ma oltre all’inflazione, alla diminuzione del potere d’acquisto, al cambiamento delle abitudini di consumo, ci sono altre situazioni ancora meno controllabili che influenzano l’industria del vino, come il cambiamento climatico, che è forse la più grande e urgente sfida che questo settore deve affrontare.
E il cambiamento climatico? Potrebbe avere un forte impatto nella produzione del vino?
Sicuramente.
Quello agricolo è il settore più soggetto a questo cambiamento che continua ad influenzare la produzione di vino: aumento delle temperature, maggiore incidenza di eventi meteorologici estremi, come grandine e gelate, malattie fungine sono alcuni dei fattori più preoccupanti ed impattanti a livello produttivo.
Purtroppo, però, su questo non possiamo avere alcun controllo, ma è fondamentale adattare la vigna a questo cambiamento.
Alcuni accorgimenti nel vigneto (ad esempio maggiore attenzione alla superficie fogliare, piuttosto che il monitoraggio costante delle malattie) possono contenere e contrastare il cambiamento climatico, ma di fronte a gelate o grandinate, che vanificano il lavoro non solo degli anni passati, ma anche di quelli futuri, le competenze del viticoltore sono pressoché inutili.
Quali sono le sfide o i progetti per il futuro? Vi state orientando su scelte che possano garantire una crescita sostenibile?
La sostenibilità nel mondo del vino è un argomento molto attuale, a cui il consumatore finale è sempre più sensibile.
“Economicamente solido, ecologicamente sano e socialmente equo” sono i principi da perseguire per raggiungere la sostenibilità aziendale al 100%.
Noi, fin da subito, ci siamo imposti di essere un’azienda che opera nella salvaguardia delle risorse ambientali lavorando nel totale rispetto della terra e del territorio che ci ospita.
Con questo obiettivo, in vigna, oltre ad essere certificati Biologici, adottiamo strategie volte a ridurre l’impatto della produzione sul suolo e sull’ecosistema, con un particolare focus sulla tutela della biodiversità.
Alcuni esempi pratici sono la rivalutazione e mantenimento della genetica dei vecchi vigneti attraverso la selezione massale, l’utilizzo solo di prodotti/metodi naturali per la lotta ad alcuni parassiti, concimazioni solo con materiale organico, e l’adesione al progetto BioPass® dei nostri consulenti agronomi, lo Studio Agronomico Sata.
Esso consiste nell’attività di zonazione della biodiversità e della qualità funzionale dei suoli al fine di renderli più sani ed ospitali ed avere uve dal maggiore potenziale qualitativo.
Oltre a queste tecniche agronomiche, puntiamo molto sull’innovazione e ogni anno investiamo in nuove tecnologie al fine di aumentare la redditività e ridurre l’impatto ambientale della nostra attività.
Negli anni, abbiamo introdotto soluzioni agritech, sistemi di monitoraggio da remoto e, da poco, un trattore automatizzato, totalmente autonomo ed elettrico.
Parlando invece di sostenibilità sociale, credo sia imprescindibile il fatto che un’azienda operi in maniera virtuosa sia nei confronti dei lavoratori, rispettandone i diritti e garantendone il benessere, che dei consumatori e della comunità.
Non dimenticando l’aspetto della sostenibilità economica, essendo il fine ultimo di ogni azienda quello di produrre reddito per sé e per i propri dipendenti, l’obiettivo è che, le scelte adottate a livello ambientale e sociale, ci portino ad avere un’azienda economicamente solida e sana in futuro.
Dopo la laurea in lingue e comunicazione per il Turismo, ha completato gli studi a Copenaghen con un master in comunicazione multiculturale nelle aziende. Cosa l’ha spinta a tornare in Italia, alle sue radici?
La mia famiglia.
La nostra azienda nasce come progetto familiare, dall’amore che ci lega e dalla passione che condividiamo per il mondo del vino.
Cosa significa per una giovane donna vivere in una tenuta sulle colline dell’Oltrepò pavese? Come si svolgono le sue giornate?
Non esiste una “giornata tipo” per me.
Ci sono giorni in cui, dopo aver portato i bimbi a scuola, svolgo il classico lavoro di ufficio, amministrativo e burocratico.
Altri in cui riceviamo persone in azienda, quindi mi dedico all’accoglienza.
Altri giorni invece sono in viaggio, e mi dedico alla parte commerciale e di promozione.
Ed altri ancora in cui pianifichiamo gli ordini, e aiuto nel confezionamento e gestione del magazzino.
Essendo un’azienda familiare, all’occorrenza, tutti fanno tutto.
Lei è anche la giovane mamma di due bellissimi bambini: Tommaso e Riccardo. Come riesce a conciliare il ruolo di manager nella sua azienda con quello di madre?
Purtroppo, non avendo i nonni vicino e non avendo orari di ufficio standard, ho dovuto cercare una babysitter fissa che stesse con i bambini al di fuori dell’orario di scuola.
Ovviamente ho un grande aiuto da parte del papà che, solitamente, rientrando prima di me, se ne occupa.
Essendo comunque titolare dell’azienda, gestisco il mio tempo in base alle necessità aziendali e personali, senza dover rendicontare niente a nessuno.
Ho la fortuna di avere ovviamente tante responsabilità, ma anche di potermi concedere tante libertà.
È di grande attualità il tema del calo demografico e del tema connesso delle donne che si trovano costrette a dover scegliere tra lavoro e maternità. Cosa ne pensa al riguardo e qual è il consiglio che si sentirebbe di dare alle giovani donne messe di fronte a questa drammatica scelta?
Dare un consiglio è molto difficile e forse anche inopportuno.
Io ho avuto la grandissima fortuna di non dover scegliere tra maternità e lavoro, e mi rendo conto essere un lusso; d’altra parte, però, non ho mai smesso di lavorare fino all’ultimo giorno ed ho ripreso subito dopo.
Ma sia nel caso in cui uno sia titolare sia nel caso in cui sia dipendente, la maternità è un diritto che deve essere garantito e rispettato.
Avere un figlio non deve e non può essere un lusso.
Purtroppo, in Italia credo che il problema sia agri tech economico che sociale, ma penso che sia il fattore economico a spaventare di più le giovani famiglie tanto che, secondo i dati Istat, molte donne sono costrette a rinunciare alla propria carriera per motivi di sostenibilità economica familiare.
E questo aspetto è direttamente collegato alla scarsità di servizi offerti in Italia in grado di consentire un’adeguata conciliazione fra il ruolo di madre e quello di lavoratrice.
Lo Stato dovrebbe garantire aiuti economici proporzionati alla reale spesa che una famiglia deve affrontare per mantenere uno o più figli: asili nido più accessibili, beni primari e necessari, come ad esempio i pannolini o il latte in polvere, meno costosi.
Ad esempio, per esperienza diretta dico che l’allattamento deve essere in primis una scelta personale, e nel caso in cui una mamma decidesse o non potesse allattare per n motivi, lo Stato dovrebbe mettere la famiglia in condizione di potersi permettere l’acquisto del latte in polvere.
Invece, in Italia il latte in polvere costa in media il doppio rispetto agli altri Paesi europei e stiamo parlando di circa 40€ a settimana; questa per me è un’assurdità.
Dal punto di vista sociale, da una parte c’è un evidente problema legato al mondo del lavoro, con contratti precari e stipendi troppo bassi, ma non solo: noi giovani siamo molto più egoisti rispetto ai nostri genitori, per cui, anche tra quelli che hanno la grande fortuna di non avere problemi economici, sono in pochi a voler rinunciare ad una serie di benefit o libertà che bisogna per forza mettere da parte, quantomeno nei primi anni, quando si diventa genitori.