“Il Medio Oriente è una polveriera da cui pendono molte micce”. Ne parla Stefano Stefanini sulla Stampa aggiungendo che “se anche nessuno la vuol far esplodere – «catastrofe inimmaginabile» secondo le Nazioni Unite, che una volta tanto esprimono anche l’opinione dell’uomo di strada – basta che se ne accenda una per far deflagrare il resto. Adesso il rischio principale viene dal Libano, o meglio da Hezbollah in Libano.
Israele è compresso fra due fronti esterni. La frontiera libanese, a Nord, è in allarme permanente, soggetta a continui scambi fra razzi e missili di Hezbollah e risposte israeliane, dall’indomani del massacro perpetrato da Hamas nei kibbutzim israeliani, a Sud. Ma nessuno vuole che la guerra fra Israele e Hamas si estenda oltre Gaza. Fino all’eccidio di ragazzini sul campo di calcio di Majdal Shams, il duello di Israele con Hezbollah era sotto la soglia del diretto conflitto.
La continua guerriglia ha però fatto evacuare circa 60. 000 abitanti israeliani dei villaggi a ridosso del confine; sul versante libanese si contano altrettanti sfollati, se non di più. La «grande paura» di Beirut descritta ieri su queste colonne – dice Stefanini – è ben presente a Washington. La Casa Bianca ha avvertito Israele che la situazione «precipiterebbe fuori controllo» in caso venissero colpiti obiettivi Hezbollah nella capitale libanese.
Nella ferrea logica mediorientale – dente per dente – Hezbollah, che sia per errore o per altro non importa, ha varcato una linea rossa. Deve pagarne il prezzo altrimenti lo rifarà. Se la rappresaglia israeliana sarà misurata, e se Hezbollah incassa – due grossi «se» – la partita si chiude tornando allo stato di guerriglia. Il nodo comunque non sarebbe sciolto, solo rinviato. Israele non può accettare lo sfollamento permanente dai villaggi del confine. L’epicentro della crisi torna così a Gaza.
Suona come una messa in mora di Netanyahu sul cessate il fuoco a Gaza perché la situazione umanitaria dei palestinesi è intollerabile. Il primo ministro israeliano ne ha sicuramente ricevute di simili a Washington da Joe Biden e da Kamala Harris. Ma da Donald Trump? Se l’ex-Presidente gli avesse detto «aspettami», non fare un piacere a quest’amministrazione democratica? Per la tregua a Gaza – conclude Stefanini – Bibi non chiede di meglio che aspettare”.