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Giuseppe Roma (economista): «Per le infrastrutture suona l’ora dei cantieri»

Che il successo del Pnrr dipenda dalla capacità di costruire infrastrutture rapidamente lo dicono i numeri. Dei 191,5 miliardi disponibili, infatti, la gran parte riguardano opere fisiche come ferrovie o porti, cui si aggiungono quelle per la transizione ecologica e le reti per la transizione digitale. La somma totale fa circa 125 miliardi, due terzi del totale. Sono compresi anche programmi complementari o per servizi, ma il grosso rimanda all’apertura di cantieri. Bisogna notare che gran parte di queste somme sono a debito (84 miliardi prestiti e 41 sovvenzioni) e quindi graveranno sulle spalle delle prossime generazioni, che almeno dovrebbero avere come corrispettivo un’Italia più verde ed efficiente. Peraltro, abbiamo già incassato 66 miliardi da Bruxelles, di cui 21 a novembre grazie al raggiungimento dei 45 traguardi previsti per il primo semestre 2022. Raggiungere milestone e target stabiliti non è stato semplice, ma è ora che viene davvero il difficile.

Gli impegni finora maturati avevano natura prevalentemente “cartacea” essendo in gran parte propedeutici alle fasi realizzative. Si è trattato di emanare e approvare norme (le riforme), di trasferire risorse dal centro alle regioni e alle periferie, di avviare gli investimenti con le gare per la progettazione, o l’affidamento di opere. Il ministro uscente Enrico Giovannini ha potuto dar conto dei lusinghieri risultati raggiunti al 30 settembre scorso, quando ha lasciato il ministero, con tutte le riforme attuate e molti investimenti avviati.

Complessivamente, entro il 2026 dovrebbero essere realizzate opere per 61,4 miliardi, per il 54% in capo a Comuni e Regioni, il 21% ad Autorità portuali e il 24% a Rete Ferroviaria Italiana. Finora, gli affidamenti hanno raggiunto gli 8,4 miliardi, ammontare ragguardevole se confrontato con gli anni precedenti, ma che, tuttavia, rappresenta una quota piccola rispetto al programmato. Viene da chiedersi se questo Parlamento e questo Governo siano consapevoli dell’attuale delicato passaggio dalla Gazzetta Ufficiale al Giornale di Cantiere.

Certo ci troviamo di fronte a forze politiche che hanno utilizzato il “no” alla costruzione di un termovalorizzatore per far cadere il governo. Abbiamo un ministro in carica, un sindaco e un presidente di regione della maggioranza di governo che rifiutano rigassificatori e l’estrazione di gas italiano con motivazioni ambientaliste. Se aggiungiamo l’eterno ritorno del ponte sullo stretto di Messina, in stand-by da più di cinquant’anni, il quadro appare nebuloso e persino pericoloso, perché ritardando le opere fattibili oghi per agitare i sogni del passato, mettiamo a rischio l’ultima occasione di robusta ripresa.

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