“Nei prossimi dieci anni l’economia italiana dovrà fronteggiare una notevole riduzione della popolazione in età da lavoro: il numero di persone di età compresa tra i quindici e i sessantaquattro anni diminuirà di circa il 6 per cento da qui al 2032. Il calo è destinato a proseguire accentuandosi negli anni successivi: intorno al 2040 raggiungerà il 13 per cento. Per inciso sottolineo che questa media nazionale nasconde una situazione drammatica nel Mezzogiorno: al Sud questo calo raggiungerà il 20 per cento della forza lavoro. Se guardiamo soltanto ai giovani di età tra i 18 e i 20 anni saranno quasi il 30 per cento in meno”.
Chiosa snocciolando questi dati Fabrizio Balassone, Capo Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia durante un convegno organizzato da Confindustria a Roma sul Pnrr.
E nel suo intervento non parla tanto dei benefici del Recovery ma preferisce mettere in guardia sui rischi.
Il “rischio che il Pnrr inneschi un’illusione finanziaria”, invece, un aumento scriteriato della spesa improduttiva, è toccato segnalarlo a Fabrizio Balassone, dirigente di Banca d’Italia.
Eccolo, dunque, l’inganno in cui l’Italia rischia di cadere.
“Credere che siccome l’onere medio del debito è inferiore al tasso di crescita, allora qualunque spesa in disavanzo sia conveniente e qualunque livello del debito sia sostenibile”.
E’ questa “l’illusione finanziaria”.
Con un risparmio stimato sui tassi di interesse di circa 1,2 miliardi all’anno per quel che riguarda i prestiti (122 miliardi) da restituire a partire dal 2028, e i 3 o 4 miliardi all’anno per i prossimi trent’anni sul fronte dei trasferimenti, i vantaggi garantiti all’Italia dal piano europeo sono evidenti, ha spiegato.
Senza contare che, nel complesso, “una appropriata esecuzione del Pnrr”, ha spiegato l’alto dirigente della Banca d’Italia, porterebbe di fatto a una crescita stabile di 1 punto di pil all’anno per i prossimi dieci anni.
E qui si arriva al punto critico.
“Perché è vero che il vantaggio principale del Next Gereation Eu sta nel fatto che il programma consente di tenere alto l’indice della crescita, a patto, ovviamente, che si utilizzino bene le risorse disponibili”. Ma è anche vero, ha messo in guardia Balassone, che “aspettarsi che l’onere sul debito resti più basso del tasso di crescita in modo permanente sarebbe poco saggio”.
Per il semplice fatto che storicamente, per l’Italia, questa condizione non è masi stata prevalente. E quando dunque si tornerà alla prassi, “più alto sarà il rapporto debito/pil, più alto sarà l’avanzo primario necessario per evitarne un ulteriore aumento”.
E che ci siano spinte per un rialzo del debito è evidente. “Perché abbiamo già preso molto a prestito, e i fondi europei andranno comunque ad accrescere il debito”, e perché i “disavanzi previsti tra il 2020 e il 2024, che ammontano a quasi il 40 per cento del pil, sono in grossa parte strutturali”. Si tratta cioè di “riduzioni d’imposta, di programmi d’assistenza, di riforme e infrastrutture che necessiteranno poi di spesa corrente”.
E insomma, “tenere alta la crescita al termine del Pnrr non sarà semplice, e correggere il disavanzo dopo il 2024 richiederà un grosso impegno e una grossa coesione sociale”.
Specie se si guarda, poi, alla composizione della spesa pubblica.
E dunque, dato questo scenario, secondo la Banca d’Italia due misure si pongono come inevitabili: “Accrescere la partecipazione al mercato del lavoro, anche sul fronte dell’occupazione femminile, e allungare la vita lavorativa”.
Il tutto, poi, accompagnato da “un aumento della produttività”.
“Se questo debito non sarà così buono da produrre crescita sostenuta e duratura, il Pnrr non sarà ricordato come il piano di investimenti che ha rilanciato il paese, ma come la zavorra di debiti che l’ha affondato” chiosa Luciano Capone sul Foglio riflettendo sulle parole di Balassone.