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Ecco perché l’occupazione e l’industria divergono: è colpa della crisi dell’automotive | L’analisi di Riccardo Illy

“A fine luglio l’Istat ha segnalato che per la prima volta abbiamo superato 24 milioni di occupati; il dato diffuso ieri sull’occupazione ad agosto segnala un’ulteriore crescita di 45.000 unità e il tasso di disoccupazione un ulteriore calo al 6,2%.

Si tratta di dati di difficile lettura, soprattutto se contestualizzati nella congiuntura economica incerta che caratterizza il 2024; alla fine del primo semestre l’economic sentiment indicator segnalava in Italia -1,2: i consumi e gli investimenti in crescita dello 0,3, l’export in sostanziale stabilità mentre la produzione (circa un quarto dell’occupazione) segnava +1,1 nelle costruzioni (dato di maggio) e -0,9 in quella industriale”.

Lo scrive Riccardo Illy dalle colonne del magazine digitale Inpiù.net

“Anche il turismo estivo ha segnato dati contrastanti: in calo quello domestico (-2,9%) ma in crescita quello internazionale (+1,6%) per un dato complessivo di pernottamenti a -0,7%.

Il dato che più preoccupa è quello del calo della produzione industriale; che, a fronte della sostanziale stabilità degli altri comparti economici, mal si sposa con la significativa crescita dell’occupazione.

Dal momento che consumi, export e investimenti “tengono”, evidentemente la crisi dell’industria è dovuta al suo grande malato, il settore automotive, di cui il calo del 33,9% delle vendite di Stellantis a settembre è il testimone più eclatante.

Si tratta di un settore a metà del guado fra motore termico ed elettrico; quest’ultimo avrebbe dovuto decollare nel 2025 con l’avvento delle batterie allo stato solido, che risolvono tutti i problemi di quelle a elettrolita liquido (sicurezza, densità energetica e rapidità di carica).

Purtroppo le promesse sono state disattese e della nuova tipologia di accumulatori vedremo solo pochi esemplari; prolungando così il periodo di stasi delle vendite causato dal prolungato passaggio da una tecnologia all’altra.

Nel frattempo le case automobilistiche hanno smesso di investire sul motore termico; i valori di prestazioni e consumi dei motori dei nuovi modelli sono quasi sempre identici a quelli dei modelli precedenti.

Spesso assistendo alla sparizione di alcuni motori più performanti, o per rispettare le normative ambientali o per incentivare l’acquisto di modelli elettrici, dove i cavalli si sprecano… In pratica, chi vorrebbe passare all’elettrico spesso non lo fa per i problemi che ancora comporta, ma al contempo non acquista un nuovo modello “termico” sia perché non ha niente di meglio di quello che già possiede, sia per il rischio di vederlo deprezzare negli anni successivi a causa dell’avvento dell’elettrico.

L’unico settore dell’automotive che ne beneficia è l’usato; con buona pace dell’ambiente, che continua a essere inquinato da milioni di modelli euro 0 o 1 (che inquinano decine di volte più di un euro 6) e dei quali non si capisce perché non venga vietata la circolazione”.

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