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Ecco le conseguenze dei rialzi dei tassi della BCE | L’analisi

Vincono ancora i falchi, è il grido che si leva dall’Italia dopo le decisioni di ieri della Banca centrale europea.

Eppure – commenta sulla Stampa Stefano Lepri – dalle reazioni dei mercati finanziari parrebbe che abbiano prevalso le colombe, ossia chi preferisce tassi di interesse bassi.

L’indice più significativo per i conti dello Stato italiano, il rendimento dei BTp a 10 anni, che in teoria avrebbe dovuto salire, è calato di botto.

Certo i mercati possono sbagliarsi, specie a caldo. Ma qui l’enigma c’è davvero, e bisogna cercare di capirlo.

Christine Lagarde prospetta un costo del denaro ancora in salita e, a differenza di quanto hanno fatto il presidente della Federal Reserve Usa e il governatore della Banca d’Inghilterra, non fa ancora intravedere una pausa. La volontà di segnalare durezza c’era tutta.

Allora, perché? Stando ai fatti, fino a ieri, in Italia il costo del denaro non era ancora salito a livelli proibitivi per le imprese; quasi quasi conveniva ancora prendere a prestito per «fare magazzino».

I danni all’attività produttiva restano limitati; in gennaio l’indice di fiducia delle imprese è addirittura risalito. I disastri che qualcuno annunciava non si sono verificati.

Le economie dell’area euro si sono rivelate più robuste di quanto si credesse. Per questo il Fondo monetario internazionale prevede che ce la caveremo senza una vera recessione proprio nel momento in cui esorta la Bce a tener duro nel suo percorso di rialzo dei tassi.

Al momento è possibile nutrire la speranza che la stretta sul costo del denaro riesca a frenare i prezzi senza imporre la pena di troppi licenziamenti; e che non duri a lungo.

Certo, a diverse imprese tocca ridurre il volume d’affari, mentre le famiglie devono rinviare acquisti a rate oppure contenere le spese perché la rata del mutuo casa si è appesantita.

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