“Una delle peculiarità dell’Italia, una peculiarità che pesa moltissimo sulle prospettive di crescita, è di essere al tempo stesso uno dei paesi che ha fatto più debito pubblico nel corso dei decenni e in cui più pesante è stata l’accusa ai governi di avere fatto un eccesso di austerità“.
“La semplice verità è che l’austerità di cui si è tanto detto e scritto negli anni scorsi è stata quasi sempre un’austerità immaginaria”.
Lo sostiene l’economista Giampaolo Galli dalle colonne del magazine digitale Inpiù.net
“La società, sotto qualunque cielo, quasi sempre chiede più spesa e meno tasse.
Spetta alla politica fare delle scelte che siano compatibili con il quadro macroeconomico.
Se non ci fossero limiti alle possibilità di attingere al bilancio pubblico, non avrebbe senso la politica, perché tutti i partiti potrebbero a buon diritto promettere tutto ciò che viene chiesto e anche realizzarlo.
La politica comincia dove finisce la disponibilità delle risorse, ossia dove la scarsità delle risorse obbliga a fare delle scelte.
La situazione dell’Italia, come quella dei tanti paesi emergenti, è stata aggravata dalla diffusione, anche nelle istituzioni internazionali che avrebbero dovuto avere un ruolo di vigilanza, di alcune narrazioni che hanno indotto ad abbassare la guardia.
La prima è quella secondo cui i tassi di interesse sarebbero restati bassi per sempre o comunque per un lunghissimo periodo di tempo.
L’altra è l’idea, ancora molto diffusa ad esempio negli Stati Uniti, secondo cui la politica di bilancio può essere manovrata quasi ad libitum per rinvigorire economia nei tempi di vacche grasse.
Questo è vero in situazioni eccezionali (come è stato il Covid nel 2020), ma sembra che ci si sia dimenticati di tre lezioni che nel passato erano scolpite nel marmo.
La prima è che – a parte gli stabilizzatori automatici – il bilancio pubblico non è affatto flessibile: una volta che viene aumentata una spesa o ridotta una tassa, è quasi impossibile tornare indietro.
La seconda è che la politica di bilancio agisce con ritardo rispetto alle esigenze dell’economia, perché ci vuole tempo per rendersi conto della situazione (i dati sulla congiuntura non sono tempestivi e i governi sono riluttanti ad ammettere che le cose vanno male) e perché ci vuole altro tempo per prendere le decisioni e per attuarle, specie laddove le decisioni richiedano l’approvazione del Parlamento.
Sicché si finisce spesso per attuare i programmi espansivi quando la recessione è terminata e l’economia è tornata a espandersi.
La terza è che il bilancio pubblico è la prima vittima dei cicli elettorali.
Quando si avvicina un’elezione, indipendentemente dalle reali esigenze dell’economia, i governi tendono ad attuare politiche espansive.
Alla luce dell’esperienza degli ultimi decenni in Italia, e anche in altri paesi, ce n’è d’avanzo per dire che è tempo di tornare all’antica saggezza” conclude.