Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

Dario Di Vico (Corriere della Sera): «Profonda crisi per il lavoro autonomo»

Il mercato del lavoro sta attraversando una profonda crisi, che sembra avere effetti ancora più imponenti su quello autonomo, «che abbraccia il peso degli indipendenti nel panorama occupazionale» spiega Dario Di Vico, «il livello delle retribuzioni e la stessa filosofia del mettersi in proprio (e affrontare da soli il mercato)».

«Sembra passato un secolo da quando sociologi e analisti del lavoro pronosticavano una cavalcata trionfale del lavoro autonomo che avrebbe dovuto marcare la modernizzazione dell’economia apportando, nell’era dell’economia della conoscenza, maggiore cultura del rischio, flessibilità e responsabilizzazione. Si pensava addirittura al lavoro indipendente come un efficace messaggio di discontinuità indirizzato alle grandi (ed elefantiache) organizzazioni perché mettessero in discussione procedure e riti stantii e abbracciassero un’altra cultura del lavoro», sostiene sul Corriere della Sera.

«Introducessero elementi di mercato al loro interno valorizzando però la persona e la sua crescita. Purtroppo, questi presupposti sono largamente rimasti sulla carta, la vischiosità della tradizione sembra averla vinta, le crisi hanno fatto il resto e, quel che è peggio, il lavoro autonomo sta franando».

«Partiamo dai numeri prendendo l’ultima rilevazione mensile dell’Istat su occupati e disoccupati. In un solo mese, da agosto a settembre 2021, gli autonomi sono calati di 28 mila unità, ma se estendiamo lo sguardo al periodo che va da settembre 2020 a settembre 2021 il taglio dell’occupazione indipendente è di 150 mila unità».

«Per avere un termine di paragone varrà la pena ricordare come nello stesso periodo l’occupazione dipendente è cresciuta di ben 422 mila unità, 69 mila a tempo indeterminato e 353 mila a termine. In sostanza il Pil avanza e gli autonomi arretrano».

«L’apertura di nuove partite Iva nel 2020 era stata di circa 15 punti inferiore all’anno prima, gli ultimi dati riferiti al terzo trimestre 2021 paragonati allo stesso periodo (horribilis) del 2020 danno un incremento assai limitato (+1,4%) dopo un recupero nei mesi precedenti. Da segnalare, poi, come una su quattro delle nuove partite Iva cerchi lavoro nel campo del commercio».

«Non abbiamo ancora i dati sulle chiusure che negli anni pre-pandemia viaggiavano nell’ordine del 70-80% delle nuove aperture, ma molto probabilmente il fenomeno si è accentuato. Confermando anche per questa via come il lavoro autonomo sia una sorta di porta girevole dell’occupazione, si entra e si esce pressoché in silenzio. Se passiamo ad analizzare i livelli retributivi il quadro non migliora di sicuro. Il 48% degli iscritti alle casse previdenziali degli Ordini professionali ha un reddito inferiore ai 20 mila euro annui».

«Se nell’immaginario collettivo c’è una barriera tra lavoratori manuali e professionisti, sul versante retributivo questa differenza è stata travolta e il motivo è molto semplice: una quota consistente dei colletti bianchi autonomi fa solo dei lavoretti. Ed è costretta a dar vita a una umiliante concorrenza al ribasso che finisce solo per distruggere valore e destrutturare il mercato. A contribuire negativamente a questa tendenza è quasi tutta la legislazione fiscale in materia di lavoro autonomo che si ostina a incentivare la piccola e piccolissima dimensione».

«Se non superi una determinata soglia paghi di meno. Purtroppo, la complessità dell’economia contemporanea richiede tutt’altro, vuole competenze interprofessionali e di conseguenza studi più organizzati, multidisciplinari. Per compilare un modello 730 o 740 basta il commercialista, ma se si devono affrontare delle ristrutturazioni aziendali c’è bisogno di maneggiare più discipline e di investire nel digitale».

«Purtroppo, però il mondo politico ha sempre voluto che il terziario italiano restasse piccolo e indifeso e che non maturasse un’economia dei servizi di stampo europeo. Ma anche le associazioni e gli Ordini, preoccupati dall’invasione delle multinazionali, alla fine sono rimasti ancorati a questo presupposto. Oggi invece se vuoi offrire un vero servizio a valore aggiunto e se nel contempo vuoi avere i giusti margini di guadagno la dimensione individuale non è sufficiente».

«Il singolo è costretto a replicare i costi fissi, non ha economia di scala e non garantisce al cliente il confronto con altri saperi professionali. Il lavoro indipendente che il legislatore ha in mente e per il quale disegna le aliquote non fa viaggi, non compra software, non paga per consultare banche dati, non si cura della sicurezza digitale. E quindi può solo candidarsi per raccattare dei lavoretti», prosegue.

«Per cercare di uscirne forse è arrivato il momento di cambiare paradigma, come si usa dire. Il lavoro autonomo competitivo e remunerativo in molti segmenti di mercato deve associarsi nelle forme e modalità più disparate, ma deve dotarsi di un’organizzazione seppur flessibile e ricominciare a generare valore. Per sé, ma anche per sorreggere lo stanco e asfittico terziario italiano».

Per saperne di più:

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.