Se domina l’ideologia, scrive Paolo Lepri sul Corriere della Sera, perde l’Europa. È la logica di schieramento a segnare negativamente l’avvio di questa stagione post-voto della governance dell’Unione. Nella partita per gli incarichi di vertice sta per il momento succedendo il contrario di quanto sarebbe stato auspicabile. Al di là degli accordi che potranno arrivare, dopo il primo inconcludente conclave bruxellese, il rischio è che le istituzioni comunitarie escano ridimensionate in un’epoca di grandi sfide, prima fra tutte la guerra che si combatte ai nostri confini.
Lo stallo trova le sue spiegazioni nei singoli interessi in conflitto dei protagonisti. Gli errori, le sottovalutazioni e le fughe in avanti sono evidenti. Saranno necessari molti sforzi e una robusta dose di buona volontà. Mai come adesso, inoltre, la politica si era abbattuta con tanta pesantezza sugli assetti dell’Ue, condizionando ogni mossa e facendo diventare pretese «di bandiera» le aspettative delle forze in campo. Tutto il negoziato in corso, iniziato ben prima delle elezioni per il nuovo Parlamento, è stato caratterizzato finora da alcuni strappi che hanno lacerato un tessuto fragile.
Pur legittimata dalla presenza di una maggioranza simile all’attuale nell’emiciclo di Strasburgo, la conventio ad excludendum invocata dal presidente francese e dal cancelliere tedesco sta finendo per avere il senso di isolare un’Italia il cui governo è uscito rafforzato dal voto (ma è però indebolito, d’altra parte, dalla presenza al suo interno di una forza euro-antagonista come la Lega di Matteo Salvini).
L’Italia ha il diritto di fare sentire la propria voce negli sviluppi dell’Unione (anche in virtù delle scelte compiute in politica estera, sostenendo l’Ucraina che dovrebbe iniziare a fine mese i negoziati di adesione) e non può essere lasciata ai margini. Sarebbe un grave sbaglio. Il dialogo deve andare avanti, tenendo conto della realtà. È nell’interesse di tutti, ma soprattutto della stessa Europa.