Perché non si protestano le emissioni eccezionali della Cina? Se lo chiede, dopo la chiusura dell’incontro della Cop26 a Glasgow, Angelo Panebianco. Si domanda perché non si vedono in giro manifestazioni degli attivisti dell’ambiente di fronte alle ambasciate cinesi; perché la Cina – il più grande inquinatore attuale – non sia diventata il loro principale nemico; e perché tra gli attivisti arrivati a Glasgow non vi fosse probabilmente nessuno con il passaporto della Repubblica popolare cinese. La risposta alla prima domanda non è difficile.
«Nel movimento ambientalista convivono, visibilmente, due orientamenti. Il primo è di coloro il cui unico genuino interesse è bloccare il cambiamento climatico. Ma c’è anche, altrettanto visibile, un altro orientamento che potremmo ribattezzare “anticapitalismo con tutti i mezzi”, con una sottovalutazione delle differenze che corrono fra le società aperte e democratiche occidentali e le società chiuse e autocratiche. Come ha osservato Federico Rampini, non può esistere una Greta cinese. Per la semplice ragione che se un dissidente (a qualunque titolo) solleva il capo da quelle parti, glielo tagliano immediatamente. Ne discendono due conseguenze», scrive sul Corriere della Sera.
«La prima è che i movimenti ambientalisti possono fare sentire la loro voce soprattutto, o solo, in Occidente. La seconda è che, essendo quelle occidentali società aperte e nelle quali i governi devono rispondere dei loro atti alle opinioni pubbliche, saranno esse, nei prossimi anni, causa l’avvenuta diffusione delle preoccupazioni sul clima in queste società, a mettere in atto misure di contrasto al cambiamento climatico. Non apprezzare la società aperta di cui si fa parte ed eventualmente anche combatterla (purché con mezzi pacifici e legali) è un diritto dei cittadini occidentali. Ma va ricordato che c’è anche il diritto di difenderla».
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