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Monte dei Paschi e Popolare di Bari: due spine nell’urna

Monte dei Paschi e Popolare Bari sono due spine nell’urna, alle prossime elezioni del 20 e 21 settembre. È quel che si legge nell’inserto ‘L’Economia’ del Corriere della Sera, in cui si fa notare che la Popolare di Bari oggi è in balia di sé stessa. Il controllo azionario è al 97% in portafoglio al Mediocredito Centrale (gruppo Invitalia) guidato da Bernardo Mattarella, mentre la governance della banca è affidata a due commissari governativi, Antonio Blandini ed Enrico Ajello.

Manca una guida, perché il contratto del direttore generale Alberto De Angelis è scaduto il 31 agosto e ai piani alti dell’istituto è rimasto solo Cristiano Carrus, responsabile della finanza che in precedenza ha guidato Veneto Banca negli ultimi tentativi di rianimazione prima dell’intervento di Intesa Sanpaolo nel 2015.

Una situazione insostenibile nel tempo, che inizierà a risolversi la prossima settimana quando, chiuse le urne delle elezioni amministrative e del referendum, sarà più chiaro in quale contesto politico di riferimento si andrà a inserire questa vicenda. Popolare di Bari oggi perde circa 15 milioni ogni mese, che significano circa 500.000 euro al giorno, sabato e domenica compresi. Soldi pubblici, che finiscono in un buco nero e non torneranno indietro a causa soprattutto di costi fissi elevati sul fronte del personale e degli immobili, con attività commerciali che in questa condizione di mercato sono poco più che inesistenti. Servono interventi concreti e rapidi. La banca pugliese ha bisogno di un Cda e di un amministratore delegato capaci e che vengano nominati al più presto.

L’altra debolezza è il Monte dei Paschi di Siena. Per dimensioni, percorso ristrutturativo, management e trasparenza, le due banche non sono confrontabili. Le unisce la proprietà pubblica: al 97% a Bari, oltre il 68% a Siena. L’istituto guidato da Guido Bastianini ha appena ottenuto il via libera dalle autorità europee di vigilanza alla cessione di otto miliardi di crediti deteriorati ad Amco, l’asset management company controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Un’operazione che risolve uno dei grandi nodi che hanno condizionato l’attività di Mps negli ultimi anni, migliorando sensibilmente la qualità del credito dell’istituto senese.

Restano da risolvere altri non banali problemi, come il rischio di interminabili cause legali legate alle gestioni precedenti, soprattutto a quelle condotte da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. Complessivamente le attese di risarcimento, a vario titolo, ammontano a 10 miliardi di euro, che nessuno vuole accollarsi. Men che meno un possibile acquirente. Il futuro del Monte appare infatti segnato. La banca, che commercialmente a differenza della Popolare di Bari sa stare sul mercato e produce utili giorno dopo giorno, è destinata a confluire in un grande gruppo.

Il progetto di creazione di un terzo polo italiano del credito non può in alcun modo prescindere dal coinvolgimento di Siena. Il boccino è nelle mani del Mef e in particolare del direttore generale del dipartimento del Tesoro, Alessandro Rivera. Per Mps, le opzioni non solo molte.

I grandi gruppi internazionali presenti in Italia appaiono al momento poco interessati. Deutsche Bank è al centro di un profondo processo di ristrutturazione dopo i 5 e più miliardi persi nel 2019. Bnp Paribas dopo l’acquisizione di Bnl, ormai vent’anni fa, sembra concentrarsi più sulla crescita interna che sullo sviluppo per linee esterne. Il Cre’dit Agricole ha già dato, acquisendo e soccorrendo di tutto, dal risparmio gestito di Unicredit targato Pioneer, alle casse di risparmio più o meno agonizzanti. Per di più, cedere all’estero potrebbe risultare manovra difficilmente giustificabile se a vendere non è un privato ma la mano pubblica.

Le direzioni possibili restano due. Da una parte Unicredit, dall’altra Banco Bpm. Ma sono operazioni complesse e che richiedono grandi capitali. Unicredit si è chiamato fuori dalla partita del risiko domestico, dichiarandosi più volte non interessato. Banco Bpm sta ancora mettendo assieme i pezzi dopo la fusione di quattro anni fa tra Milano e Verona. Però non ci sono alternative. E a questo punto solo una allettante offerta economica, che incentivi e tuteli il possibile acquirente, sarà in grado di smuovere una situazione cristallizzata. Tenuta e sostenibilita’ sono i temi comuni a Bari e Siena. Il resto, sono incompatibili differenze.

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