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Lorenzo Giusti (Direttore Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Bergamo): «Così la pandemia ha cambiato la vita dei musei»

«Nel 2020 c’è stato un profondo cambiamento nella vita dei musei. Da una parte un profondo rallentamento di alcune attività e dall’altra una grande accelerazione, perché si è dovuto intervenire sui processi produttivi, sui progetti a lungo termine, sulle modalità operative. Davvero c’è stato un cambiamento radicale, che si è dovuto fare in tempi molto stretti».

«Quindi la pandemia da una parte ci ha portato a meditare di più sul senso delle nostre azioni e dall’altra ci ha portato ad accelerarne alcune in maniera radicale». Lorenzo Giusti, direttore della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ha provato a sintetizzare così ciò che il 2020 ha cambiato nel modo di essere un museo di fronte alla pandemia e alle chiusure delle istituzioni culturali.

«Per troppo tempo – ha affermato – i musei sono stati le mostre che producevano o le collezioni che riuscivano a esporre. Oggi chiaramente siamo ben più consapevoli del fatto che siamo molto di più. Quindi io credo che i musei effettivamente da qui in avanti si penseranno sempre meno come si sono pensati fino a oggi e interpreteranno il proprio ruolo sempre di più come centri di produzione di contenuti con un’attività editoriale ampia che non riguarderà soltanto le mostre e le collezioni, ma che sarà diversificata, aperta ad altri linguaggi e ad altre discipline».

«L’altro aspetto fondamentale è quello del legame con le diverse comunità che vivono la vita dei diversi musei. Tutti, in una maniera o in un’altra, hanno riscoperto l’importanza di questa cintura di persone che in qualche modo stringe la vita e l’attività del museo».

Inevitabile poi affrontare il discorso della specifica comunità di Bergamo, che ha pagato un prezzo molto alto al coronavirus nella prima fase dell’epidemia. «Essere un museo di Bergamo – ci ha risposto il direttore della GAMeC – ha voluto dire innanzitutto confrontarci, in un preciso momento, con l’ignoto. Veramente all’inizio della pandemia in città non sapevamo con cosa avessimo a che fare, che impatto avrebbe avuto questa nuova realtà sulle nostre vite e come avrebbe condizionato la vita dell’istituzione stessa».

«Quindi il primo sforzo è stato quello interpretativo e lo abbiamo fatto attraverso diversi progetti, in particolare Radio GAMeC che è una piattaforma che abbiamo sviluppato nel tempo, all’interno della quale ci siamo confrontati con tante persone diverse. Poi chiaramente abbiamo iniziato ad agire sui vari tasselli della nostra operatività».

«Una cosa però è fondamentale: far capire alle persone che il museo si interroga sempre su che cosa sia opportuno fare, perché si sta facendo e soprattutto per chi. Quando la comunità percepisce questo sforzo, allora si stringe intorno al museo. E questa è la consapevolezza che ha spinto tante delle nostre azioni».

In conclusione, uno sguardo sul futuro dei musei e sulla loro valenza come luogo d’incontro. «Io ho sempre pensato il museo come una piazza, credo che nel futuro andremo a rafforzare questa idea e sono convinto che se non lo faremo perderemo sicuramente un’occasione».

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