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La tempesta perfetta e la bacchetta magica che non c’è. La sfida da vincere | L’analisi di Giuseppe Caporale

Inflazione, aumento dei tassi di interesse e calo demografico.

E se a questo si somma la crisi climatica che ogni anno in chiave di emergenza torna a colpire il Paese, il futuro che attende l’Italia appare quanto mai difficile.

Una tempesta perfetta, un concentrato di crisi multiple su un sistema debole come quello italiano che sconta difetti ormai connaturati: crisi delle nascite, esplosione del debito pubblico, fragilità del territorio.

E il Documento di Economia e Finanza appena presentato dal Governo in Parlamento traccia un quadro davvero complicato per i prossimi anni.

Già a partire dal 2024.

Dalla lettura del Def emerge che il problema principale è l’aumento della spesa causato dell’inflazione, prevista ancora al 5,7% per quest’anno.

La previsione è che l’inflazione scenda al 2,7 per cento nel 2024 e al 2,0 per cento nel biennio 2025-2026.

“Alla discesa dell’inflazione si accompagnerà il graduale recupero delle retribuzioni in termini reali, recupero che dovrà avvenire progressivamente e non in modo meccanico, ma di pari passo con l’aumento della produttività del lavoro” si legge nella nota.

“Nonostante l’inflazione complessiva sia in rallentamento da dicembre, le stime preliminari dell’Istat per marzo evidenziano una componente di fondo (che esclude i beni alimentari non lavorati e i beni energetici) ancora in accelerazione, al 6,4 per cento tendenziale”.

“Al contrario, a marzo l’indice armonizzato per i paesi dell’Unione europea (IPCA) mostra una prima seppur lieve diminuzione della componente di fondo, al 6,9 per cento dal 7,0 di febbraio” certifica il Def.

La spesa per le pensioni, ad esempio, aumenterà del 7,1% nel 2023 e nel 2024. Nel 2026 la sua incidenza sul Pil salirà al 16,1% e poi, per l’invecchiamento della popolazione, raggiungerà il picco del 17,4% nel 2036.

La spesa per interessi sul debito, a causa del rialzo dei tassi, salirà dagli 85,1 miliardi nel 2023 agli oltre 100 miliardi nel 2026.

La spesa per la sanità, dopo il Covid, è prevista invece necessariamente in calo rispetto al Pil: dal 6,7% del 2023 al 6,3% nel 2024 e al 6,2% nel 2025 e 2026. 

L’Istat segnala un calo della produzione industriale dello 0,2% a febbraio e del 2,3% su base annua.

Prevale, insomma, la prudenza su consumi e redditività.

Non a caso il Def prevede per il 2023 un aumento del Pil dell’1% contro il 3,7% del 2022.

Il documento ha ricevuto ieri anche il via libera dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha convalidato le stime per il 2023, anche se ha giudicato al limite quelle per il 2024 e per gli anni successivi «assumendo la piena e tempestiva realizzazione dei progetti del Pnrr».

Un dettaglio non indifferente, considerando che lo stesso Def stima che con la completa attuazione del Piano il Pil nel 2026 risulterebbe di 3,4 punti percentuali superiore.

Ma come più volte documentato da questo Osservatorio, attuare completamente il Pnrr è una sfida ai limiti del possibile, per i tanti errori nella originaria definizione del Piano Nazionale di Resilienza e Ripartenza, per la annosa burocrazia che soffoca lo sviluppo dello Stivale, l’aumento dei prezzi delle materie prime e per il fiatone di un comparto produttivo a cui – dopo un lungo periodo di stagnazione e di semi immobilismo – viene chiesto di alzarsi e correre i 100 metri.

Alla luce di tutto quanto esposto non si può non riconoscere che il Governo guidato da Giorgia Meloni stia affrontando i dossier economici con la giusta prudenza.

E al tempo stesso merita rilievo la scelta di impegnare le poche risorse disponibili per il varo di misure volte ad alleggerire la pressione fiscale.

Insieme al Documento di Economia e Finanza il Governo ha presentato in Parlamento la relazione per chiedere l’autorizzazione ad aumentare il deficit nel 2023 e nel 2024.

Quest’anno di 3,4 miliardi per finanziare l’ulteriore taglio del cuneo fiscale sulle retribuzioni medio-basse e aumentare così il netto in busta paga dei lavoratori dipendenti.

Il taglio dovrebbe scattare a maggio, probabilmente sulle retribuzioni fino a 35mila euro lordi, con guadagni fino a una quarantina di euro al mese per chi prende intorno a 25mila euro.

Per il 2024 il maggior deficit rispetto al tendenziale sarà di 4,5 miliardi e verrà usato per finanziare, almeno in parte, la riforma del fisco, con la quale verrà anche aumentato l’assegno unico per «aiutare le famiglie con figli neonati e le famiglie numerose», si legge nel documento.

Perché la voragine dei conti pubblici sulle pensioni è strettamente collegata al calo demografico.

Nessuna bacchetta magica dunque.

Non si possono ottenere miracoli, visto che gli indicatori economici sopra esposti ci prefigurano un domani davvero complicato.

Ma l’intenzione che emerge dalla lettura del Def è di procedere, per citare le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con “un’ambizione responsabile”.

Tenere i conti pubblici sotto la soglia di guardia e spingere per la crescita del Paese attraverso aiuti a famiglie, lavoratori e imprese.

Una sfida complessa che ci riguarda tutti. 

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