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La neo-ministra della Giustizia Marta Cartabia tra sfide e insidie

Anche al netto del difficile equilibrio tra forze politiche dalle visioni tanto diverse – agli antipodi, dalle garanzie processuali all’esecuzione penale – il compito della neo-ministra Marta Cartabia appare gravoso e in salita, perché dovrà mettere mano a un’efficace riforma della Giustizia, non a caso citata come priorità anche dal premier Draghi e chiesta dall’Europa a garanzia del Recovery Fund.

Nelle linee guida per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Italia si è impegnata a «riformare la giustizia con la riduzione della durata del processo civile e del processo penale», alla revisione del Codice civile, alla riforma del diritto societario e della disciplina della crisi d’impresa. Nelle “raccomandazioni” europee c’è anche il rafforzamento del quadro anticorruzione.

Non potranno rimanere affermazioni programmatiche. Una necessità stringente, chiarita del resto anche da Alfonso Bonafede, nella relazione inviata alle Camere alla vigilia dell’apertura della crisi di governo: non solo gli investimenti richiesti per la giustizia, 2,3 miliardi per le assunzioni e 450 milioni di euro per la realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e la riqualificazione degli edifici, ma l’intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza «sarà scrutinato tenendo conto della capacità di affrontare con riforme normative, investimenti e misure organizzative i problemi del processo civile e penale e di apprestare un’efficace prevenzione della corruzione».

Il disegno di legge delega di riforma della giustizia civile, approvato a dicembre 2019 puntava a snellire i tempi con la semplificazione del rito e incoraggiando soluzioni transattive. Ora starà a Cartabia proporre le sue soluzioni. Ma in ordine di tempo, il primo nodo da sciogliere sarà quello del blocco della prescrizione, una spina per la nuova maggioranza, che è stato il casus belli per la crisi di governo. La pressione dei partiti, da Forza Italia e Italia Viva è forte, e l’offensiva è già partita con gli emendamenti al decreto milleproroghe (in scadenza a fine mese), che chiedono di sospendere l’applicazione della riforma Bonafede, riproponendo il lodo Annibali.

E Cartabia dovrà affrontare anche l’onda lunga del caso Palamara: la riforma del Csm, con la tentazione del sorteggio per i consiglieri togati, e la proposta di legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere promossa dalle Camera Penali. Di sicuro poi la ministra, che ama ripetere il concetto che «la giustizia non è vendetta ma riconciliazione», vorrà dedicarsi alla difficile situazione nelle carceri.

Al 31 gennaio erano 53.329 i detenuti presenti, su 50.551 posti. Una situazione critica, che Cartabia ha potuto osservare da vicino nel “viaggio” compiuto da giudice costituzionale, resa ancora più tesa dall’emergenza Covid. Infine, dovrà fare i conti con la protesta dei 5mila magistrati onorari, che smaltiscono metà del contenzioso giudiziario in materia civile e penale e nel settore dell’immigrazione, che rivendicano assistenza per malattia, previdenza e retribuzioni adeguate.

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